112, il numero unico di emergenza. Sempre che qualcuno risponda

“Sono quasi le 18.00 di ieri, domenica. Ospedale di Genzano, alle porte di Roma”…

Da qualche tempo, in casi di emergenza, il 112 è divenuto il numero unico da chiamare. Per un po’, chi si dovesse trovare in difficoltà o avesse bisogno di interventi delle Forze dell’Ordine, potrà comporre anche i soliti, vecchi numeri che eravamo abituati a vedere sulle auto della Polizia, la tecnologia trasferirà la chiamata al numero unico automaticamente.

L’urgenza del cambio di numero per le emergenze non è chiara. Da una parte c’era chi non vedeva l’ora, quasi che si dovesse digitare anche noi, il 911 dei film americani, dall’altra, dicevano, tutto sarebbe stato più semplice, immediato.

Sono quasi  le 18.00 di ieri, domenica. Ospedale di Genzano, alle porte di Roma. Pronto Soccorso pieno di bambini accompagnati da genitori e parentela varia. Fuori, un vento forte così. L’ingresso dell’ospedale è il medesimo del Pronto Soccorso, tutti entrano da lì. Minaccia pioggia e la tettoia è l’unica soluzione per ingannare l’attesa nonostante le raffiche di vento si facciano più forti.

Qui, arrivano bambini da tutti i Castelli Romani. Gli altri ospedali,  Frascati e Marino compresi, non hanno più modo di intervenire a livello di pronto soccorso pediatrico, qualcuno di questi  è stato trasformato in una specie di semplice ambulatorio. Genzano, fino a quando rimarrà aperto, resta la sola possibilità, insieme al San Giuseppe di Albano, per le migliaia di famiglie dei Castelli che necessitano di assistenza immediata per i propri figli, in caso di emergenza. Ma questa è un’altra storia, vergognosa, ma pur sempre un’altra storia.

Intanto il maltempo imperversa. Il vento sembra aumentare e, improvvisamente, la copertura della tettoia a fianco all’ingresso dell’ospedale, comincia a muoversi pericolosamente. Prima si alza qualche bandone, poi comincia a sbattere violentemente sulla struttura portante. “Da un momento all’altro si staccherà, dice qualcuno. A rischio di colpire qualche paziente o sfondare le vetrate.” Tra i pazienti in attesa di essere visitati, anche mia figlia. Siamo lì da un po’ e aspettiamo, come gli altri, il nostro turno.

Torno fuori. Il vento strappa due, tre bandoni enormi dalla tettoia. Un paio di questi sfiorano l’ingresso dell’ospedale. Fortunatamente in quel momento non si trovava a passare nessuno. Compongo il 113 che mi indirizza al numero unico di emergenza e aspetto di parlare con qualcuno. La situazione è molto pericolosa. E’ un via vai di famiglie che entrano e escono. Qualcuno potrebbe farsi male anche perché altri bandoni stanno per prendere il volo. Quelli di prima sono caduti sul grande terrazzo sovrastante.

Al telefono, messaggi in tutte le lingue dicono di attendere, di non riattaccare, che presto risponderà qualcuno. Attendere? Cos’è un centralino? Non sto mica chiamando Pronto Pizza! Attendo, attendo e attendo. Sono le 18,45 circa e sono già dieci minuti che attendo in linea. Fosse stata una rapina o un’aggressione, sarebbe già finito tutto da un pezzo! Attendo, attendo e attendo.. 

Niente. Riattacco. Non ci credo. Non mi sembra possibile. Riformulo nuovamente il numero. Riparte il disco, l’attesa.. Minuti e minuti di inglese, francese.. di attesa. Niente. La batteria del telefono dice che ha bisogno di soccorso anche lei. Rimango a guardare l’ennesimo pezzo di tetto che prende il volo. Riaggancio.

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