14enne ricoverata al Pertini e deceduta al Bambino Gesù. Riflessioni

Il tutto per una presunta diagnosi sbagliata: del semplice “stress” da ciclo mestruale anziché la rottura di un aneurisma cerebrale

Sta rimbalzando su tutti i quotidiani e i telegiornali la notizia della povera ragazzina 14enne sentitasi male il 4 novembre mentre era a scuola, ricoverata al Pertini e deceduta al Bambino Gesù. Il tutto per una presunta diagnosi sbagliata: del semplice “stress” da ciclo mestruale anziché la rottura di un aneurisma cerebrale. “Mi scoppia la testa”… sono state queste le sue ultime parole, povera stella. Poi ha perso i sensi. Ha vomitato. Ha emesso bava ed è diventata molto pallida. L’ambulanza c’ha messo pochissimi minuti ad arrivare a da lì la corsa all’Ospedale Pertini, dove le è stato diagnosticato dello “stress”, unito a un po’ di debolezza, verosimilmente dovuti a quel ciclo mestruale terminato da poco.

Nulla di che, quindi, non c’era da preoccuparsi. Ma la ragazza, in realtà, dentro alla testa aveva una bomba a orologeria che, purtroppo, aveva sentenziato l’ultimo rintocco: un aneurisma. Che è esploso. E di cui nessuno ha sospettato nulla. Almeno così sembra da ciò che si è appreso dai TG e dai tanti articoli prodotti dalle testate di tutta Italia. Tanto che per effettuare un esame strumentale in grado di individuare un problema grave di questo tipo, ovvero una TAC, ci sono volute ben due ore, almeno così riporta l’avvocato della famiglia, Giuseppe Rombolà. E quella tomografia assiale ha mostrato ai medici una terribile emorragia cerebrale, un’emergenza gravissima, un vero incubo.

Viste le sue condizioni disperate, si è deciso di trasferirla al Bambino Gesù. In ambulanza, non in elisoccorso. Altra scelta sbagliata, questa, che ha fatto perdere un’altra ora. E che forse ha dato il colpo di grazia alla povera ragazza: perché nell’ospedale pediatrico romano, purtroppo, la 14enne è deceduta. Non subito, però. La Regione Lazio ha infatti precisato che una volta arrivat a all’ospedale pediatrico, la giovane è entrata subito in sala operatoria e l’intervento chirurgico è durato molte ore. Dopodiché è stata trasferita in terapia intensiva. Il giorno dopo è stato tentato il risveglio cerebrale, senza successo: quindi, dopo 24 ore, sono state avviate le procedure per accertare la morte cerebrale. Il suo cuore ha cessato di battere il pomeriggio del 6 novembre. Sulla vicenda è stata aperta un’indagine della Procura e i magistrati hanno disposto una consulenza per approfondire a dovere la triste vicenda.

Sarà vero che i medici del Pertini abbiano sottovalutato in quel modo i sintomi dell’adolescente, come dei dilettanti? Oppure trattasi, di nuovo, di un processo mediatico effettuato “a prescindere” per fare notizia, gridando alla malasanità, in barba alle indagini vere e senza alcuna remora quando si tratta di gettare fango sui professionisti sanitari e sulla nostra sanità? Il caso dell’infermiera “Killer” di Lugo, che killer non è più ma che è stata comunque massacrata e additata come assassina seriale per mesi, dovrebbe insegnare, ma… in questo paese, si sa, le amnesie sono all’ordine del giorno. E una sostanziosa cura di fosforo ci vorrebbe in diversi ambiti, non solo in quello giornalistico. Una cosa è certa: al di là dei titoli dei giornali, più o meno veritieri, più o meno roboanti, la Regione Lazio è in ginocchio dal punto di vista sanitario. Per tanti motivi.

Gli ospedali sono al collasso, ogni operatore deve svolgere il proprio lavoro e anche quello di chi non c’è (non si assume da tempo immemore), si è costretti ad attingere da aziende esterne (il che, purtroppo, non da alcuna garanzia di preparazione e qualità) per rimpinguare il proprio organico, i pronto soccorso vengono visti dalla popolazione come dei veri e propri “parcheggi” dove abbandonare le persone anziane, anche per giorni; persone che, al di là dei propri problemi cronici e degli acciacchi dell’età, spesso non hanno nulla che assomigli a una situazione di vera emergenza. E che vanno ad intasare i DEA creando tanta confusione, corse contro il tempo del personale sanitario per soddisfare le esigenze della popolazione, caos, perdite di minuti preziosi e… un continuo rischio di errore. Anche madornale.

Perché siamo umani e tutti possiamo sbagliare. Ma per ridurre tale rischio… far lavorare il personale sanitario almeno in condizioni “umane” già rappresenterebbe una conquista importante. Cosa che, in un recente ricovero di mia madre presso il pronto soccorso del Pertini, per fare un esempio, non ho visto neanche lontanamente. Nell’emergenza sanitaria (perché è SOLO di questo di cui dovrebbero occuparsi i pronto soccorso e non di smaltire interi battaglioni di utenti annoiati che non vogliono mettersi in fila dal proprio medico di base) il fattore tempo riveste un’importanza cruciale. Ogni ora, ogni minuto e ogni secondo sono preziosi. Ed è su questo che si deve ragionare per capire cosa non ha funzionato, nel caso della 14enne… perché lei si è sentita male alle 8:30. La TAC, che sembra essere stata decisa solo dopo le forti insistenze della mamma, è stata fatta solo alle 11:30. E il trasferimento, effettuato con un’unità mobile di soccorso anziché con un elicottero, ha permesso alla giovane di varcare le porte del Bambino Gesù solo alle 13.

La nostra rete di emergenza territoriale, al di là di eventuali colpe dei singoli, funziona ancora? Comunque, tornando alla vicenda… i risultati dell’autopsia sul corpo della piccola, disposta dalla Procura, saranno consegnati dal medico legale entro 60 giorni. Intanto, il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha inviato la task force del ministero (composta da esperti dell’Agenas, carabinieri del Nas e ispettori) che avrà il compito di accertare l’andamento dei fatti. E non solo: anche la Regione Lazio ha aperto ufficialmente un’indagine interna e ha richiesto una relazione dettagliata e un audit clinico sul caso al Direttore Generale della Asl Roma 2 (dove si trova l’Ospedale Pertini).

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