20 gennaio: autisti in piazza

La manifestazione nazionale contro la privatizzazione del trasporto pubblico locale

All’appello di Micaela Quintavalle hanno risposto in molti: Milano, Torino, Genova, Livorno, Verona. C’erano anche gli autoferrotranvieri dell’Umbria e di Firenze, che già hanno conosciuto la trasformazione del trasporto pubblico in privato. Gli interinali di Roma. C’erano i cittadini, gli utenti li chiamano. Nessuna bandiera politica, come richiesto da Micaela Quintavalle. Ma anche nessun sindacato – nessuno dei maggiormente rappresentativi almeno, perché invece Cambia-Menti M410 c'era. Ed è un'assenza che pesa quella dei sindacati, da tempo ormai.
Tutti insieme, al grido di "Trasporto Pubblico Bene Comune" sono partiti da piazza dell’Esquilino e hanno sfilato lungo via Cavour e i Fori Imperiali, per poi arrivare a piazza Santi Apostoli. Tutti insieme, per dire “No!” alla privatizzazione del trasporto pubblico.

A capeggiare il corteo lei: Micaela Quintavalle, che in molti chiamano ‘la pasionaria’.
Una Micaela Quintavalle visibilmente emozionata e commossa, quella che si è vista oggi per le strade di Roma. Un’emozione e una commozione che derivano dal grande successo della manifestazione, cui hanno aderito più persone di quante non si immaginasse. Un’emozione e una commozione che derivano dalla consapevolezza che nelle strade di Roma, oggi, è nato qualcosa di nuovo, che si chiama ‘Italia che vuole riappropriarsi dei propri diritti’.

“Oggi è la prima manifestazione a livello nazionale degli autoferrotranvieri e dei cittadini – ha commentato Micaela – Ciò che affermiamo è il rifiuto netto alla privatizzazione e il rinnovo del contratto nazionale che a tutti noi manca da 6 anni”.

“Per quanto riguarda Atac – ha continuato – in 5 anni abbiamo visto 5 amministratori delegati diversi, ma abbiamo anche visto gli altri dirigenti riconfermarsi sempre, nonostante la politica faccia continuamente della discontinuità la sua bandiera. Gabbuti e Cassano, ad esempio, furono scelti da Veltroni e riconfermati da Alemanno. Quest’azienda è il bancomat dei partiti politici. E non è più possibile continuare a chiedere sacrifici a lavoratori e cittadini. Perché – spiega ancora – se le risorse aziendali fossero organizzate in maniera pulita e investite in maniera oculata, i soldi per migliorare un servizio che nella Capitale d’Italia è fondamentale, si troverebbero eccome”.

Non siamo disposti a negoziare nessuna di queste proposteincalza ancora Micaela dal palco di p.za Santi Apostoli, dove il corteo si è fermato – Chiediamo: integrazione del personale viaggiante di 1000 unità, con priorità per i 115 interinali; rinnovo della flotta: l’età media dei mezzi è di 9 anni, ma voglio ricordare che i treni della Roma-Giardinetti sono del 1923; godimento delle ferie per ogni singolo anno, nessuna possibilità di accumulo; tutela del personale e ripristino del concetto del lavoro usurante; a parità di mansione, chiediamo parità di salario”.

Il trasporto – continua la Quintavalle – è e deve rimanere pubblico. Anche se l’Europa dovesse chiedere il contrario. Occorre una politica economica che includa il pubblico nel mercato, pubblico che possa trarre profitti, quindi pubblico non solo nel gioco d’azzardo”.

“Vogliamo dire ai nostri interlocutori – conclude – che in nome dei nostri diritti innesteremo una conflittualità permanente, una lotta continua e senza tregua. Avranno sempre il nostro fiato sul collo. Diremo sempre no a logiche clientelari, nepotische, a queste politiche di liberismo selvaggio madre di tutte le diseguaglianze sociale. Uniti e insieme si può; uniti e insieme si vince”.

A piazza Santi Apostoli, poi, sono stati molti autoferrotranvieri ad alternarsi sul palco. Una sola voce comune: non si deve privatizzare il trasporto pubblico per renderlo migliore e più efficiente, perché se oggi il trasporto pubblico versa in condizioni pessime è solo a causa di una malagestione e di una malapolitica che, come urlano dal palco, “con la gestione del trasporto pubblico ha solo mangiato”.
Non solo. Il trasporto pubblico, sostengono fermamente, è un bene di prima necessità, e in quanto tale deve rimanere pubblico.

“Il costo della privatizzazione – commenta il delegato di Genova – ricade solo sui contribuenti, che già pagano delle tasse comunali e regionali, nelle quali è ricompreso anche il servizio pubblico di trasporto locale”.
“Inoltre – aggiunge – noi non siamo affatto tutelati dalla legge. Viaggiamo su strade che sono corse ad ostacoli, su mezzi non in regola. Eppure portiamo persone, mica animali. Dov’è la tutela del lavoro tanto cara ai politici?”.

Andrea Papale, un altro rappresentante degli autoferrotranvieri di Genova, ha dichiarato che “dai 5 giorni, non è cambiato nulla. Il Comune – spiega – ci ha chiesto di recuperare 4 milioni all’interno dell’azienda. Attendiamo nelle prossime ore che si concluda un accordo aziendale con Cgil, Cisl, Uil, così sapremo in cosa si sostanzieranno questi 4 milioni”.
“Oggi – continua – siamo qui per provare a sensibilizzare la politica nei confronti del trasporto pubblico locale, perché riteniamo che queste azienda vanno salvaguardate e finanziate. Bisogna che la politica porti avanti un discorso serio”.

Circostanza che, ad ora, non si è verificata. “Abbiamo ricevuto risposte evasive – spiega ancora Andrea – Si parla di costi standard, cose che a nostro modo di vedere non hanno senso di esistere, dato che le aziende sono dislocate in tutta Italia. E in base alla conformazione del territorio, al numero della cittadinanza, bisogna fare delle differenze: ecco perché non si può parlare di costi standard. La politica deve mettersi in testa che il trasporto pubblico è un servizio sociale”.
Andrea ci racconta anche che la situazione dei precari a Genova non è preoccupante: “Da noi gli utlimi precari li stanno assumendo ora. Invece apprendo oggi che a Roma ci sono degli interinali. La Liguria, inoltre, ha già adottato una legge sul trasporto pubblico locale, quindi noi siamo pronti ad andare a gara già nel 2015, e teoricamente l’assegnazione del servizio e dei posti di lavoro dovrebbero essere tutelati da una clausola sociale”.

In Umbria, invece, il privato c’è già. “Da noi la privatizzazione è già arrivata – spiegano – Il privato che specula sul trasporto pubblico ci spaventa. Ancora non sappiamo cosa accadrà da noi, perché l’Antitrust sta verificando la vendita; quindi formalmente il privato c’è, ma materialmente non si è ancora insediato. Però sappiamo che ora ha in mano l’azienda per il 70%: per 20 milioni di euro è stata svenduta l’azienda regionale”.
“Ciò che ci preoccupa di più è che non sappiamo ancora come il privato intenda risanare i conti. Ci sono 2 modi: o sulle nostra spalle, o su quelle dei cittadini”.
La situazione dell’Umbria, ci spiegano, è degenerata anche a causa di Roma. L’Umbria mobilità, infatti, effettuava dei trasporti anche nella Capitale, che però non sono stati pagati. Questo, ha contribuito a mandare l’azienda in default, tanto che si sono verificati anche ritardi nei pagamenti.

Ma la situazione più drammatica, resta quella degli interinali dell’Atac. “Noi siamo i precari dell’Atac. Sono 3 anni che andiamo avanti in questo modo: lavoriamo 3 mesi l’anno, nel periodo estivo, e poi a casa senza soldi”. A parlare è il “Presidente”, Marco Uzzo – “So’ Presidente perché so anziano, perché se ero davvero Presidente mica avevo bisogno di stare qui”, spiega con un velo di malinconia.
“Se arriva il privato – ci spiega – noi andiamo definitivamente a casa. E non capiamo perché per noi i soldi non si trovino mai. Chiediamo stabilità del contratto, perché così non si può più andare avanti”.

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