A Teatro Golden “Merimia”, ispirata all’anima di Alda Merini

“Merimia” è “l’attraversamento di un’anima”; quella dell’autrice, “un’anima a colloquio con se stessa”

Sarà in scena al Teatro Golden di Roma, il 22 maggio, “Merimia”, opera letteraria e teatrale liberamente ispirata alla grandissima anima di Alda Merini, scritta e diretta dalla poetessa Gaia Gentile, da un’idea di Patrizia Bernardini. “Merimia” è un monologo poetico, in cui i versi di Gaia Gentile dialogano con quelli di Alda Merini, attraverso la fusione di poesia, danza, recitazione e musica dal vivo. Le due anime s’intrecciano, si compenetrano e si fondono nell’unico io del poeta che non vuole capire, ma solo sentire.

“Merimia”  è “l’attraversamento di un’anima”; quella dell’autrice, “un’anima a colloquio con se stessa”, che, attraverso la poesia di Alda Merini, “si racconta nel suo rapporto con gli altri e con Dio per scoprirsi folle d’amore, assolversi, imparare ad amarsi e a ritrovare la propria unità nella poesia”.

Sul palco ad interpretare il mondo di Alda Merini ci sarà Patrizia Bernardini, accompagnata dalla voce di Monica Proietti Tuzia e di Giuseppe Camozzi, dai movimenti coreografici dei danzatori Antonella Perazzo e Vincenzo Gambuzza. A completare il cast quattro musicisti diretti da Gino Mariniello e da Francesco Carlesi, Massimo Pizzale e Fabrizio Aiello. Le musiche, originali, scritte e create per l’opera,  sono di Giuseppe Camozzi.  

Note di regia: “Merimia” è un monologo poetico che nasce e trabocca dall’interiorità di un’anima a colloquio con se stessa: parole si susseguono a note e corpi si intrecciano a versi cantati, in equilibrio tra follia e lucidità. In questa atmosfera in bilico, in attesa, Merimia fa la sua entrata alla ricerca di una bambola di nome Piero. Piero e Merimia, figure che si intrecciano, si compenetrano e si confondono fino a fondersi in un’unica voce, un unico io, un’unica poesia. Entrambe tenute al guinzaglio, destinate ad amare nonostante tutto, ad aver bisogno del bisogno degli altri, guidate e mosse da altre mani, esse rappresentano se stesse semplicemente. La coscienza di Merimia che pensa e ancora non sa si incontra con la conoscenza di Piero che sa, ma non può pensare. Tra le righe, la dissoluzione di un io che non vuole capire, ma solo sentire, un io che lotta con Dio per sgretolarsi e ritrovarsi. Il gesto finale del ritrovamento e della torsione del collo di Piero chiude il percorso di un’anima alla ricerca dei propri frammenti. La coscienza ingloba la conoscenza e si trasforma in consapevolezza di sé, della propria unità. L’io di Merimia si nascondeva nella poesia, nelle parole sussurrate, nelle note a lei dedicate che irrompono libere dalle gabbie, non più equilibriste traballanti, non più tormenti e abbandoni, non più folli evanescenze, ma rime capaci. Capaci di lasciare il palco in una valigia, abbandonando l’uomo, gli uomini della sua vita, soli, indifesi, a cantare la sua assenza divenuta ormai presenza unica, unita nella sua Poesia. Sullo sfondo il Muro degli Angeli di Alda Merini, disegnato e ricostruito da una nuova donna che si fa domanda, mai risposta, unico testimone di un Verbo che non trasforma, ma crea la verità dell’anima di Merimia, mia anima, mia malattia, mia follia … Poesia.

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