Accoglienza, lo stile del Cristiano e Gesù non è escludente ma fondante

Accoglienza: saper accogliere significa vedere ciò che in una comunità, dai piccoli ai grandi, emerge come bisogno urgente

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Il Capocordata

Gesù vale sopra tutto

Accoglienza. C’è una tentazione, spesso molto sottile, che attraversa il cuore del genitore e dell’educatore cristiano in genere, vale a dire quella di essere più sbilanciato sui bisogni e sulle richieste di coloro che deve aiutare a crescere. E così entrano in gioco dinamiche affettive che a volte distolgono dal centro del Vangelo. Dire di “no” dispiace sempre, soprattutto quando a questa negazione seguono discussioni, musi lunghi e silenzi tipici degli adolescenti. Eppure, in maniera certamente più intensa, Gesù nel brano del Vangelo proposto (Mt. 10, 37-42) vuole mettere in evidenza proprio questo: la sua Parola, il suo amore, la sua presenza, anche se scomodi, valgono addirittura più del padre, della madre e dei figli (v. 37).

Se il Signore vale più di tutto e di tutti, lentamente ma con decisione, dobbiamo fare in modo che egli occupi sempre il primo posto nella nostra vita, anche nelle relazioni. In mio papà, nella mia mamma, nei miei bambini, nei miei alunni, pur nella difficoltà di una relazione che sta maturando, scorgo il Signore che vale più di loro e che ho l’occasione di servire, amare, ascoltare e riconoscere in loro.

L’ accoglienza e una relazione “fondante”

“Chi ama padre o madre…figlio o figlia più di me non è degno di me” (v. 37). Gesù non sta dicendo che genitori, famiglia, lavoro, vocazione non hanno valore. Egli sta dicendo che tutte queste realtà non sono né assolute né definitive e che il discepolo del Regno deve sempre più entrare in una logica nuova. Il Regno e la sua giustizia (santità), e la sua logica sono da cercare con tutto noi stessi.

Per far questo è necessario mettere da parte le logiche terrene, i legami umani, che pure sono necessari e possono aiutare la nostra esistenza a crescere. Potremmo dire che Gesù non è escludente (se amo il Signore, disprezzo la famiglia), ma fondante: amo i genitori, i figli, il coniuge, le persone affidatemi proprio perché amo il Signore in modo incondizionato. Questo significa che il mio modo di agire è libero e liberante, e questa è la prova che sono discepolo di Gesù e del suo Vangelo.

Il fondamento della sequela

“Chi non prende la propria croce…non è degno di me” (v. 38). Seguire Gesù significa ascoltare e scegliere la stessa rotta del Maestro. E’ il nostro cruccio, soprattutto quando vogliamo fare di testa nostra, come piace o non piace a noi. Vogliamo essere discepoli del Signore, ma facciamo e inventiamo a nostro piacimento il cammino da seguire. Quello che Gesù sottolinea è proprio che solo lui e il suo messaggio acquistano un valore assoluto.

In quest’ottica c’è qualcosa da perdere:  “chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà” (v. 39). Gesù non ha avuto altra logica se non quella di “perdersi”, cioè di sciogliersi come il sale e il lievito nella farina del mondo. Ha perso la vita nel dono continuo di sé. La logica dell’amore è una logica di donazione totale. Non di cose, ma di vita. Gesù ci sta spiegando come il vero senso della vita sia proprio contenuto nel gesto di spenderla, di regalarla, di donarla. E’ la logica del perdere evangelico, un perdere per guadagnare, un lasciare per ricevere cento volte tanto.

“Chi avrà dato da bere…a uno di questi piccoli…non perderà la sua ricompensa” (v. 42)

Gesù ha un’attenzione particolare per i poveri, i piccoli, gli ultimi perché nessuno se ne cura. Fare loro del bene significa semplicemente “ridare a loro il proprio” e su questa carità dobbiamo formare il cuore, la mente e gli occhi, perché possiamo intravedere coloro che il Signore ci mette vicini e sappiamo servirli con umiltà nei loro bisogni. Saper accogliere significa far sì che le parole, i gesti, i buoni esempi che riceviamo dalla vita delle persone intorno a noi, possano farci intravedere la bellezza di un Dio che vuole sempre bene, non sa far altro che amare e perdonare, riversa la sua misericordia su tutti e chiede a noi di fare altrettanto.

Saper accogliere significa vedere ciò che in una comunità, dai piccoli ai grandi, emerge come bisogno urgente. Non per rincorrere le esigenze, ma per discernere quanto Dio, ancora oggi, va scrivendo sulle pagine della nostra storia. Non tocca a noi dire chi è discepolo e chi non lo è. A noi tocca accogliere, servire, dar da bere, incontrare negli altri il volto splendente di Dio che ci corre incontro, ci parla, ci attrae a sé e ci rende migliori. Il Signore si fa sentire nella vita di ciascuno attraverso l’amore grazie al quale si scopre un’intensità profonda che appartiene solamente all’amore di Dio. Se la vita è donata, la si ritrova. Se la si perde, perché donata, ritorna con un’intensità che profuma di eterno.  

Vale la pena prendere queste parole di Gesù come bussola per la vita di oggi? A noi sembra di sì, perché cambia la vita, la getta per sentieri poco battuti, la apre a scelte difficili e costose, la condanna spesso alla riprovazione dei parenti e dei colleghi. Vale la pena buttarsi in una situazione del genere? Sì, anche se confessiamo di essere discepoli fragili, deboli, infedeli. E ci conforta scoprire che esistono ancora uomini e donne, giovani, adulti e anziani che continuano a credere e a prendere sul serio le indicazioni di Gesù.                                                                         

Il Capocordata.

Bibliografia consultata: D’Agostino, 2020; Laurita, 2020.

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