Allora vedranno il Figlio dell’uomo

di Il capocordata

L’anno liturgico si apre oggi con il tempo dell’avvento, che ci farà ripercorrere le prime tappe della storia della salvezza. Ci sorprende quindi che il Vangelo (Lc. 21, 25-28.34-36) di questa domenica presenti un annunzio della fine del mondo. Ma questa lettura intende giustamente farci intravedere sin dall’inizio il termine verso il quale sale tale storia, perché è questo che le conferisce il suo significato.

Il discorso di Gesù sulla fine del mondo

Il discorso di Gesù sulla fine del mondo si riallaccia al genere letterario delle apocalissi giudaiche che volevano annunciare la fine dei tempi. L’occasione a Gesù gli viene data annunziando della fine del Tempio di Gerusalemme. Tale annunzio induce i discepoli a porre il problema della data e del segno della fine dei tempi.

La venuta del Figlio dell’uomo (vv. 25-27)

Gesù condensa tutti gli avvenimenti della fine dei tempi nel suo avvento trionfale come Figlio dell’uomo. Questa venuta del Figlio dell’uomo è, per Gesù, l’annuncio essenziale. Questo annunzio fa allusione alla scena del giudizio di Dan. 7, 13-14, e Gesù prende questo nome come suo titolo personale, come espressione del suo compito di salvatore e di portatore del destino dell’umanità. Questa venuta è preceduta da segni cosmici (segni nel sole, nella luna e nelle stelle), dalla paura degli uomini, stretti dal vuoto e posseduti dall’angoscia di cadere nel nulla e dalla la paura di morire, e dalle potenze dei cieli che crollano. Tale angoscia è squarciata dalla visione del Figlio dell’uomo, luce che dissolve le tenebre, la verità che vince la menzogna. Colui che viene verso di noi, il Figlio dell’uomo, si è fatto solidale fin nella morte e perdona i nostri peccati. E’ il Signore che mi ha amato e ha dato se stesso per me, che mi ha amato quando ancora ero peccatore. Egli viene in una nube, il luogo della presenza di Dio, che in essa si rivela e si nasconde: la croce sarà la nube che lo nasconde e lo rivela. Viene con potenza e gloria grande: Dio sarà visibile all’uomo in tutto il suo splendore, sul volto del Figlio che si è fatto trasparenza perfetta della misericordia del Padre.

L’attesa della salvezza (vv. 34-36)

Dopo aver presentato l’avvento finale del Signore, il testo liturgico termina con una esortazione che indica come bisogna attenderlo. Anzitutto veniamo invitati alla speranza. I segni e gli avvenimenti che Gesù ha annunciato sono tremendi: l’evangelista mette in rilievo l’angoscia in cui questi avvenimenti terribili getteranno Israele e l’umanità, ma i fedeli di Gesù non hanno affatto da temere questi avvenimenti, che manifestano la vittoria e la sovranità del loro maestro. In questi sovvertimenti del mondo essi debbono riconoscere l’annuncio della loro liberazione. Il secondo invito è quello di prepararsi con la fedeltà e la vigilanza assidua. I discepoli di Gesù si guardino dalle tentazioni volgari della dissolutezza e dell’ubriachezza e più ancora delle preoccupazioni terrene che li distrarrebbero dall’unico bene che conta. Il cuore pesante cerca il suo riposo in gozzoviglie, ubriachezze e ansia di godere: si inebetisce e si anestetizza in cerca di ciò che manca. Crapule, ubriachezze e desideri sono l’esca dietro cui si nasconde il laccio della morte. Il giorno ultimo è sempre improvviso. Così Dio vuole, perché viviamo ogni presente in modo sensato, come preparazione all’incontro con lui. I discepoli si tengano pronti, perché quel giorno coglierà tutti gli abitanti della terra all’improvviso, come la rete dell’uccellatore scende inattesa sulla sua preda. In realtà, i discepoli devono impegnarsi nel compito affidato dal maestro ai suoi servi, devono pregare senza mai stancarsi. Preparato dalla fedeltà e dalla preghiera egli non ha nulla da temere dalle prove della fine e potrà sostenere il giudizio. Il cristiano non è uno struzzo che sogna un mondo migliore. E’ come la civetta: il suo sguardo penetra l’ombra della notte. Sta attento a quanto avviene dentro e fuori, e lo sottopone a discernimento. Se l’uomo psichico non comprende, quello spirituale è in grado di giudicare ogni cosa. E gli altri neanche lo capiscono. Per questo la preghiera è necessaria: essa è il cibo, la bevanda e la gioia di cui si nutre il cuore sveglio. La vigilanza e la preghiera ci fanno stare dritti: è anzi il nostro alzare il capo davanti a colui che viene, non come giudice, ma come fratello. Gesù ha ormai davanti agli occhi la croce, ultima ora sua e del mondo. Vive quanto ha appena detto ai discepoli: di giorno compie la missione del Padre, ammaestrando nel tempio; di notte esce all’aperto e veglia in preghiera. Il tempio e l’orto degli Ulivi sono ormai i due poli della sua vita. Distanti come giorno e notte, parola e silenzio, dentro e fuori, vita e morte, il tempio e il cielo scoperto sono illuminati da un’alba nuova.                                                              

Bibliografia consultata: George, 1968; Fausti, 2011.

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