Anzio, prove di patriottismo

Continuano le prove per la commemorazione dello sbarco di Anzio; patriottismo o commemorazione strumentalizzata?

“Nonostante il tenero amore che nutro per il mio Paese, non ho mai saputo essere un grande patriota né un nazionalista… E ben presto è nata in me una diffidenza verso i confini… Col passare degli anni mi sono sentito ineluttabilmente spinto ad apprezzare maggiormente ciò che unisce uomini e nazioni piuttosto che ciò che li divide” così Hermann Hesse a proposito della patria, dei suoi confini, del patriottismo che, spesso, ne deriva.

Si parla di patriottismo, di nazionalismo come sua naturale contrapposizione, di confini e della loro difesa in un momento in cui la Brexit ha messo in sera discussione l’UE nella sua ideologica struttura portante, donando nuova linfa ad argomenti e temi che sembravano essere ormai defunti e sorpassati oltre che anacronistici. Soprattutto con il tema immigrazione si è ritornato a parlare di confini e della loro difesa e il termine nazionalismo sembra prevalere rispetto alla parola patriottismo che la commemorazione dello sbarco di Anzio, così come altre cerimonie ufficiali, richiama con quella doverosa solennità cui l’inno nazionale ci richiama con le sue toccanti e penetranti note. È quanto avviene nell’assistere alle prove effettuate da forze dell’ordine e forze armate durante le quali la presenza della fanfara che intona l’inno di Mameli trasmette sensazioni che, probabilmente, sono più uniche che rare.

Oggi si sprecano gli sforzi per distinguere patriottismo e nazionalismo, i tentativi di spiegare che storicamente il nazionalismo, affermandosi, è degenerato in politiche imperialistiche, mentre il patriottismo è cosmopolita e dunque internazionalista; eppure quando si parla di patriottismo e di patria si parla di nazione benché  “Il patriottismo è amare la propria gente; il nazionalismo è odiare gli altri” come sosteneva lo scrittore lituano, naturalizzato francese, di origine ebraica Romain Gary.

“Per noi fascisti le frontiere, tutte le frontiere, sono sacre. Non si discutono: si difendono” tuonava Mussolini, ma i tempi erano diversi, sia politicamente sia storicamente, sia geograficamente sia a livello di politica internazionale e oggi, in un momento in cui si dovrebbe parlare di unità internazionale sono proprio quelle istituzioni che ne dovrebbero sancire la definitività a ostacolarne la radicazione attraverso una predominanza di interessi nazionali, mai sopiti e mal celati, che opacizzano emarginandoli gli interessi sovranazionali.   

Forse, a questo punto, dovremmo ammettere che la Fallaci avesse ragione quando sosteneva che “La Patria non è un'opinione. O una bandiera e basta. La Patria è un vincolo fatto di molti vincoli che stanno nella nostra carne e nella nostra anima, nella nostra memoria genetica. È un legame che non si può estirpare come un pelo inopportuno.”

In fondo siamo ancora troppo arretrati come umanità per poter pensare ad una vera ed effettiva identità e unità sovranazionale, funzionante, efficiente e svincolata da interessi di bandiera; la prova non è data solo da una UE zoppicante che arranca, pare, solo grazie ad una nazionalizzazione bilingue della stessa ma anche da una ONU che, in realtà, è fortemente nazionalizzata e svincolata dal suo progetto originario; dovremo lavorare tantissimo per poter giungere a quanto, solo teoricamente, è posto come obiettivo globale.

In fondo possiamo considerare profetiche le parole di Omero “Nulla è tanto dolce quanto la propria patria e famiglia, per quanto uno abbia in terre strane e lontane la magione più opulenta”  mentre nell’ascoltare le note del nostro inno nazionale lasciamo che ci emozioni in modo inaspettato ma patriottico.

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