Appello alla vigilanza

Il discepolo che vigila di notte

La domenica 30 Novembre la liturgia ci fa iniziare un nuovo anno con la Prima domenica di Avvento: ANNO B. In quest’anno ci accompagnerà la lettura evangelica di Marco. Infatti, il vangelo della prima domenica di Avvento è il brano di Mc. 13, 33-37, dove l’evangelista, nel discorso finale del suo vangelo, rivolge una pressante esortazione alla vigilanza, non solo a coloro che ascoltavano Gesù ma a tutti (v. 37). Vigilare è una necessità vitale non solo per i discepoli di Gesù, ma per tutti coloro che leggeranno il suo vangelo. Ci domandiamo subito: cosa significa esattamente questa parola nel contesto del discorso finale di Gesù? L’immagine del portiere evidenzia maggiormente questa esortazione alla vigilanza. E perché, a proposito dell’incertezza concernente il ritorno del padrone, si richiama l’attenzione unicamente sulle veglie della notte? “Non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera, o a mezzanotte, o al canto del gallo, o al mattino” (v. 35): sono le quattro veglie della notte secondo la suddivisione romana. L’attenzione si concentra sull’attesa raccomandata durante la notte. Se, quindi, parlando del possibile momento del ritorno, si citano soltanto le veglie, la domanda può essere formulata così: nel contesto della mentalità ebraica del tempo, quali associazioni può destare la notte, in simili casi?

Il simbolismo della notte

Nell’antico Israele, i rabbini (maestri) affermavano che la notte, le tenebre regnano nel mondo. Nella mentalità del popolo di Dio era relativamente comune caratterizzare il momento presente come una notte e il tempo futuro, finale, cioè l’avvenire, caratterizzato dalla luce eterna, cioè dal giorno. Anche  San Paolo, passato attraverso la scuola rabbinica, utilizza allusioni alla notte per descrivere il tempo presente fino alla parusia (venuta finale di Gesù): “la notte è avanzata, il giorno è vicino” (Rom. 13, 12). Anche per lui, la notte è intesa in relazione ad un invito a vigilare, come nella parabola di Gesù, nel vangelo di Marco. Anche San Paolo esorta i cristiani di Roma a destarsi dal sonno, poiché la notte è avanzata e il giorno si avvicina: i cristiani devono vigilare nella notte che li circonda, e questo atteggiamento è messo in relazione al ritorno del Cristo, alla rivelazione della salvezza totale nel “giorno” del Signore, che come un ladro viene di notte. Per questo i cristiani devono vigilare nel tempo presente. E’ dunque evidente che l’ambiente ebraico del tempo legava l’immagine della notte in contesti analoghi a quello della parabola del portiere: la notte faceva pensare al tempo presente.

I figli della luce e del giorno nel tempo delle tenebre

Quando la Parola di Dio parla di tenebre o di notte, essa ha presente la situazione di tentazioni, di prove, di sofferenze a cui nel mondo siamo sottomessi. La lotta non si svolge contro avversari di carne e di sangue, ma contro i principati, le potestà, i signori di questo mondo di tenebre. Il mondo si è allontanato da Dio, sorgente della luce. Ecco perché il tempo presente è definito come un tempo di tenebre e di notte.

In questo “eone” (tempo) di notte, brilla però una luce. La venuta di Gesù realizza la profezia di Isaia: “Il popolo immerso nella tenebra ha visto una grande luce”. Gesù è la luce del mondo: chi crede al Messia non rimane nelle tenebre. Il Nuovo Testamento presenta la conversione a Cristo come un passaggio dalle tenebre alla luce. Anche se, mediante la conversione, siamo passati dalle tenebre alla luce, non significa che siamo entrati in una sfera di vita totalmente fuori delle tenebre. Anche se il cristiano è strappato al potere delle tenebre, anche se è diventato figlio della luce e del giorno, egli continua a vivere nel tempo della notte: rimane cioè in una situazione di tentazione. In ogni tempo, i discepoli di Gesù sono immancabilmente esposti al rischio di cadere, di cedere alle potenze delle tenebre, di essere riafferrati dal male del mondo presente. Addormentarsi significa lasciarsi vincere da ciò che è del mondo, abbandonarvisi. Nella parabola, il sonno è correlativo alla notte: appartiene alla notte, perché si dorme di notte. Chi vive nel tempo della notte rischia di addormentarsi, cioè lasciarsi vincere dal male.

La vigilanza cristiana

In contrasto con la notte e col sonno, la vigilanza assume nella parabola un grande rilievo. Se i cristiani sono invitati a vigilare, ciò significa che, durante il loro viaggio nel mondo della notte, essi devono realizzare la loro vocazione e il dono che hanno ricevuto in quanto figli della luce, con lo sguardo proteso in avanti verso il ritorno del padrone e verso il giorno ormai vicino. Si tratta di un atteggiamento vitale che consiste nell’aver sempre presente il ritorno del Cristo.

Questo atteggiamento vitale assume nella parabola la forma di un servizio al padrone. Il portiere ha ricevuto l’incarico di vigilare nell’attesa del padrone. “Vigilare” significa avere la propria vita segnata fin d’ora da ciò che viene, dal padrone (Gesù), dal giorno e dalla sua luce. Vigilare non è un atto spontaneo, vigilare implica una lotta: occorre scuotersi dal sonno e abbandonare le opere delle tenebre per rivestire le armi della luce: fede, amore, speranza, verità, giustizia. La vera difesa contro gli attacchi delle potenze delle tenebre, consiste nel tenersi tenacemente ancorati al Cristo. Rivestiti di tutta l’armatura di Dio, coloro che seguono Gesù vigileranno e saranno pronti per il ritorno del Signore. La vita dell’uomo pio non si svolge in sopori, sogni e passioni, ma nell’impegno sempre vigile e sobrio del cuore umano.

Ci chiediamo se questa vigilanza ci rende indifferenti verso l’esistenza presente con i suoi problemi. La risposta è negativa, perché tale vigilanza non ingenera alcun rinnegamento del mondo, ma una sana libertà verso tutto ciò che appartiene al tempo presente, ai suoi princìpi e sete di prestigio, all’angoscia davanti alla tribolazione, alla sofferenza e alla morte. Vigilare nella notte del tempo presente è dunque una liberazione, una gioia che scaturisce da una sorgente eterna, una pace anche tra le tempeste, una speranza verso il mondo che viene, verso il giorno che si avvicina. Buon tempo di Avvento per tutti!               

Bibliografia consultata: Lovestam, 1969; Gnilka, 1990.

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