Categorie: Cronaca

Arsenico nell’acqua e nel pane. Rischio Lazio

LA RICERCA DELL’ISS – I dati dello studio dell’Iss (Istituto Superiore di Sanità) parlano chiaro.

Nei comuni interessati dall’emergenza dell’arsenico nell’acqua, la concentrazione della sostanza nell’organismo dei cittadini è pari al doppio rispetto a quella presente nella popolazione generale.
Con conseguenze che potrebbero essere gravissime, se si considera che l’arsenico è un elemento cancerogeno.

Lo studio dell’Iss è stato condotto analizzando campioni di unghie e urine di circa 270 soggetti sani residenti nelle aree a rischio, in tutte le fasce di età.

A maggior rischio di tutti, sono i comuni del Viterbese.
Nei cittadini di Viterbo e dei comuni dell’interland, infatti, la concentrazione di arsenico nelle unghie è di 200 monogrammi per grammo.
Un dato preoccupante: i monogrammi presenti nel resto della popolazione residente in zone non contaminate sono pari a 82.

“Nelle aree oggetto di studio, la concentrazione media e mediana di arsenico nelle unghie è risultata pari rispettivamente a 252 ng/g e 188 ng/g con un valore massimo di 5107 ng/g, rispetto ai valori di riferimento di 88 ng/g e 83 ng/g. Per oltre la metà dei soggetti, l’esposizione a lungo termine stimata mediante tale biomarcatore è risultata superiore a quella massima misurata per la popolazione di controllo”. Così si legge nella relazione dello studio effettuato.

Un’emergenza questa, che interessa molti comuni del Lazio, come Latina, Viterbo, i Castelli Romani a cui, ancora oggi, non si trova soluzione, nonostante le direttive imposte dall’Unione Europea in merito.
Il 31 dicembre scorso, infatti, è scaduto il termine fissato dalla Commissione europea per la normalizzazione dei livelli di arsenico nell’acqua, ma senza buon esito.
In molti comuni l’acqua ancora non è potabile, e il rischio per la salute dei cittadini aumenta costantemente.

NON SOLO ACQUA – Concentrazioni di arsenico superiori ai livelli consentiti sono state rinvenute anche nei cibi, come per esempio nel pane prodotto nell’area viterbese.
Nel frattempo, gli esperti, stanno conducendo altre analisi sui prodotti alimentari.

La causa della presenza di arsenico negli alimenti sarebbe dovuta nella concentrazione della sostanza cancerogena nei terreni e nella rete idrica.

I PRECEDENTI – La ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità è stata avviata nel 2001.

In quell’anno, la giunta regionale del Lazio aveva chiesto alla Commissione europea una deroga per innalzare di ben cinque volte i limiti consentiti dalla legge.
La risposta dell’Europa era giunta nell’ottobre del 2010, quando era stata negata l’autorizzazione al provvedimento proposto dal Lazio, del tutto in contrasto con le norme europee sulla qualità delle acque potabili in vigore dal 2001. Provvedimento ratificato nello stesso anno anche dall’Italia.

LE RISPOSTE DELL’UNIVERSITA’ – L’Associazione italiana medici per l’ambiente di Viterbo ha denunciato in una nota che “gli interventi per tutelare il diritto alla salute delle popolazioni dell’Alto Lazio, esposte da più di dieci anni a valori fuorilegge di arsenico, sono ancora troppo pochi e inadeguati”.

Una risposta a questa situazione è giunta dall’ateneo viterbese.
L’Università degli Studi della Tuscia, infatti, sostiene che l’acqua ‘pulita’, e quindi priva di arsenico, potrebbe essere raccolta dal sottosuolo in alcune aree specifiche.

L’affermazione degli esperti dell’ateneo è successiva ad uno studio effettuato tramite prelievi da varie falde acquifere dove è stata riscontrata la presenza di acqua potabile.

I risultati dello studio idrogeologico, condotto sotto la supervisione del direttore del Dipartimento di Scienze Ecologiche e Biologiche, professor Silvano Onofri, e dal professor Vincenzo Piscopo, consentirebbero anche di risparmiare tutti gli stanziamenti disposti dalla Regione Lazio per l’acquisto e la gestione dei dearsenificatori.

Redazione

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