Attacco hacker, si difende dalle accuse il dipendente della Regione Lazio: “Io resto tranquillo”

Da siti porno alla vendita delle credenziali. Il dipendente risponde alle ipotesi sul web sulla modalità con cui è avvenuto l’attacco hacker

tastiera del pc

Non soltanto l’attacco degli hacker al sistema dei siti della Regione Lazio; Un altro attacco da tenere a bada è anche quello di chi continua a romanzare sul modo attraverso il quale il malware vi sarebbe stato introdotto, utilizzando password e credenziali di un dipendente comunale. Stando alle voci che impazzano sul web, il dipendente avrebbe facilitato la violazione del sistema, accedendo ad alcuni siti pornografici. Oppure ancora, sarebbe colpevole di aver venduto a terzi le sue credenziali. Altre ipotesi riguarderebbero, invece, accuse nei confronti del figlio.

Risponde il dipendente, proprietario delle credenziali da cui gli hacker hanno violato il sistema

È lui stesso a parlare, rilasciando un’intervista al Corriere della Sera e cercando di smentire le voci che circolano sul suo conto. Intanto la Polizia postale continua con le indagini sull’accaduto. Il pc del dipendente – che prima dell’attacco lavorava in smart working, come gran parte degli italiani – è stato posto sotto sequestro ed è al momento sottoposto alle analisi dei tecnici informatici di competenza.

“In queste ore ho letto davvero di tutto: hacker russi, cinesi. Ma a me finora non è venuta a interrogarmi nemmeno la Polizia postale!”. Queste le parole del dipendente al giornale. “Pensavo di aver chiuso bene la porta della mia stanza al numero 10 della sede di Frosinone della Regione Lazio. Alle tre di pomeriggio di giovedì il palazzo è quasi vuoto, è il mio unico giorno di lavoro in sede”.  

Tra le tante accuse a lui mosse, quella di aver navigato su siti pornografici assieme al figlio. Un no categorico è la sua risposta: “Io resto tranquillo, perché penso che la polizia postale comunque ha preso il computer e potrà vedere da sola tutti i movimenti che ho fatto”.

Ma il nodo da sciogliere per gli investigatori resta uno: perché proprio il suo di computer? Si tratta di un caso, o di un fattore che potrebbe portare alla risoluzione delle indagini? Probabilmente è la stessa domanda a cui il dipendente vorrebbe trovare risposta, anche e soprattutto a fronte delle chiacchiere mediatiche che lo stanno interessando.

A questo punto, è lui stesso ad avanzare un’ipotesi: “Forse perché a casa lavoro in orari strani. Spesso mi sveglio alle 3 di notte e comincio a fare bolli auto, rimborsi elettorali ai Comuni, invio email ai colleghi per anticipare il lavoro del mattino dopo. Quando sei in smart working però sei sicuramente più esposto: la rete di casa è più fragile di quella aziendale”.

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