Barbecue sul Gange, malati infetti e profumi di grigliate miste

Migliaia di pire accese in riva al fiume Bagmati per le esequie dei nepalesi morti nel sisma e profumi di braciolette

In un bell’articolo del 30 aprile Giampaolo Visetti descrive le migliaia di pire accese in riva al fiume Bagmati, sotto il tempio di Shiva, per le esequie dei nepalesi morti nel terremoto. Incenso, fiori, legni odorosi, olii essenziali versati sulle braci, offerte di cibo e monete, insieme ai profumi della cremazione, per accompagnare il morto e le sue ceneri nel viaggio sulle acque verso l’aldilà. In un silenzio rispettoso e drammatico.

A proposito di profumi: 1973, eravamo appena arrivati a Benares, la città più santa dell’India. Quella dove ogni buon fedele desidera concludere il suo viaggio terreno. Schiere di dignitosi vecchi santoni, ma anche di mendicanti, storpi, malati dei più ributtanti morbi: lebbra, elefantiasi, infezioni; moribondi che si trascinavano verso l’accesso alla vita futura, il Sacro Fiume dei roghi. Un’orda orribile, forse troppo identificabile con lo stereotipo, eppure vera (di sicuro non era uno spettacolo messo su per noi stranieri) e drammaticamente angosciosa.

Ci mettemmo a seguire il flusso. Ormai vicini al Gange ci salì al naso un certo qual profumino di braciolette alla griglia (piuttosto fuori luogo secondo il nostro pensiero di impreparati fricchettoni, oltretutto obnubilati da fumi di altro genere, in un paese principalmente vegetariano e implacabilmente affamato) che aumentava sempre più. Finché, arrivati ai ghat ci rendemmo conto che effettivamente c'erano fuochi accesi e carni che bruciavano, ma non si trattava di un barbecue all’aperto, bensì dello spazio riservato alle pire funebri dei bramini. Membri di casta alta, quindi meglio nutriti degli altri indiani; superiore la qualità della legna delle cataste e anche quella degli olii rituali, le braci ben calde: ecco spiegato l’equivoco olfattivamente appetitoso.

Naturalmente sempre con tutto il rispetto per le credenze altrui.

Da che pulpito… Titolo su La Repubblica, pagina 28: “La battaglia di Francesco per la parità delle donne – Scandaloso pagarle meno”. Siamo tutti d’accordo, è ovvio, sull’argomento, sull’ingiustizia della situazione e sulla necessità di trovare una soluzione.

Un po’ meno nel constatare che questo accorato appello viene dal capo di una istituzione che le donne non pensa nemmeno a lasciarle entrare, se non con qualifiche di bassissimo livello. Probabilmente il massimo a cui una femmina può aspirare in Vaticano è il ruolo di cuoca di qualche cardinale, di cameriera che rifà il letto al Santo Padre o, vogliamo esagerare? di segretaria in ufficio. Non ci pare un gran che.

Fuori tempo massimo. Facciamo un passo indietro (di calendario) e scendiamo un gradino (di argomento). MACRO, 16 aprile, inaugurazione di una mostra di Nakis Panayotidis “Guardando l’invisibile”. Opere degli ultimi dieci anni. Vetri rotti, sedie coperte di stracci e questa bella carriola piena di sveglie. Presentazione fantozziana: microfono spento con conseguente vana agitazione degli addetti, incapaci di farlo funzionare; infelice ubicazione dell’evento sul pianerottolo accanto a un ascensore che fa din don a ogni apertura di porta. E altre piacevolezze tipiche della nazionale incapacità di organizzare anche un piccolissimo evento. In compenso, buone le cibarie e le bevande del rinfresco (almeno questo…)

Il perché del nostro titolo? Queste trovate ce le presentavano già anni fa, raggiungendo spesso l’obiettivo di scandalizzare il pubblico dei benpensanti per aprire la strada a nuove correnti. Riesumarle oggi come frutti tardivi di inizio terzo millennio: questo ci sembra fuori tempo massimo. Come obsolete erano le numerose, canute code di cavallo (maschili) in giro per le sale.

Quotazioni. Tanto per rimanere nel campo, abbiamo fatto un salto ai magnifici Musei di S. Salvatore in Lauro: chiostri, saloni, sotterranei, scale e scalette, per finire in un giardino segretissimo chiuso da alte mura.

Cocktail di presentazione dei quadri in vendita all’asta dalla Christie’s.

Non facciamo parte del mercato dell’arte, e questo di sicuro spiega la nostra ignoranza, ma ci hanno davvero stupito gli abissi che separano l’una dall’altra le quotazioni di artisti italiani più o meno contemporanei e per noi più o meno dello stesso valore estetico, e quindi (ingenui!) anche commerciale. 600.000 euro per un taglio di Fontana, media grandezza, 150.000 per un Severini più grande (e più bello). Inspiegabili 300.000 euro per un Paolo Scheggi (mai coverto), e 30.000 ciascuno per due oli di Vedova e Capogrossi. Mah! Non avendo né il contante né l’intenzione di acquistare, per fortuna ci è rimasto, come in molte altre situazioni simili a Roma, il piacere di andare in giro per spazi bellissimi e spesso inaccessibili al pubblico. E gratis.

Di sicuro qualcuno se la prenderà con noi perché ridiamo delle cose serie. Ma ridere di quelle buffe è troppo facile, no?
 

L’archivio del Cavalier Serpente, o meglio la covata di tutte le sue uova avvelenate, sta al caldo nel suo blog. Per andare a visitarlo basta un click su questo link: http://blog.libero.it/torossi

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