Categorie: Opinioni

Champions, calcio e il bon ton: teniamoci los huevos del Cholo

Ne abbiamo sentite e viste parecchie in questi giorni su ciò che gira attorno al pallone, luogo dove gli uomini (e le donne…) sembrano ormai perdere la testa. Gli intellettuali più insospettabili – persino loro – che si affacciano dalle finestre dei loro attici di pensiero sul becero mondo del calcio, non nascondono più la sciarpa della propria amata squadra del cuore e si lasciano travolgere nelle discussioni più tecniche su moduli di gioco, VAR, fuorigioco, rigori presunti o tali. Prima erano i temi sul razzismo, i vergognosi cori contro i giocatori di colore a scatenare i giudizi e le massime del solo volgo. Oggi si va oltre. Affascinanti, pimpanti quanto a volte sgradevoli nel loro patinato essere o meglio apparire, è la volta delle mogli dei centravanti che nel tempo non proprio perso agiscono da procuratrici per i propri mariti- che così facendo finiscono per spaccare spogliatoi di squadre affermate; e ancora ex giocatori campioni del mondo ora opinionisti del football (il mestiere più bello del mondo il dare fiato alla bocca come tromba sfiatata) che distruggono la morale comune con giudizi sulla presunta incapacità per una donna di parlare di tattica. Avanti così, terra fertile per i moralizzatori della vita. In questo turbine di eventi, di opinioni alte e basse, ecco un allenatore argentino, Diego Pablo Simeone detto El Cholo, che sfoga tutta la sua rabbia frustrata durante un incontro di Champions League tra la sua squadra, l'Atletico di Madrid e la Juventus, con un gestaccio di-mostrativo dei propri attributi maschili: quelli che in Argentina chiamano huevos.

Scandalo. Così non si fa. Esistono regole, forme da rispettare. Eppure, prima ancora che parta a tutta velocità la penosa parata di giudizi scandalistici contro l'azione fallica dinanzi alle telecamere del mondo, l'uomo si scusa, riprende un minimo dell'aplomb che non è certo la sua caratteristica principe e cerca di giustificare, anzi spiegare il gesto movimento ventre con l'energia scaturita dalla tensione del momento in campo. Beh. In questo squarcio di vita – specchio dei tempi spesso latente e assente di contenuti, che è il calcio, e che è la vita di molti di noi stessi, dove personaggi finti si assurgono a veri, dove stipendi da cinque milioni di euro netti all'anno vengono ridiscussi un giorno dopo esser stati firmati in nome forse dell'aumentato costo della vita, dove atleti dalle muscolature giganti svolazzano sul tappeto verde per spinti lievi come il soffio d'alito di bebè, ripiombando poi a terra come lava sputata fuori da un vulcano, contorcendosi e rotolandosi a terra tra presunti indicibili dolori, addirittura spesso coprendosi il volto (forse per la vergogna) con le mani… io accetto e difendo il gesto di mostrare los huevos al pubblico, come una manifestazione di verità e genuina voglia di essere autentici e passionali veramente.

La morale meglio metterla da parte quando è prima ottusa e poi telefonata, lasciandola fare a quelli che non vogliono portarsi la moglie allo stadio perché le donne non capiscono niente di tattica, e che di ritorno dalla partita, si siedono in cucina davanti allo sformato, osano chiedere del sale alla cuoca che ha faticosamente preparato la lasagna e poi magari, stressati per la sconfitta della propria squadra, la riempiono prima di parolacce poi di schiaffi, per poi scusarsi un attimo dopo con un mazzo di rose. Io mi tengo los huevos del Cholo. Così come sono.

Francesco Di Pisa

Dottore in Giurisprudenza, con un Master in Scienze delle Comunicazioni presso "La Sapienza" di Roma. Libero professionista, vive in Gran Bretagna dove si occupa di politiche Marketing, consumo, comunicazione e scrive di politica, attualità e costume.

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