Cinghiali, è ancora emergenza in regione

Coldiretti: “i danni causati al sistema agricolo regionale siano tra i 3 ed i 5 milioni all’anno”

Negli ultimi giorni è tornato sulle prime pagine di tutti i quotidiani nazionali il tema dei cinghiali che vagano liberi sul nostro territorio, in particolare dopo il caso di una donna rimasta intrappolata nella sua auto in via Panattoni, vicino al parco dell’Insugherata a Roma, a causa di un branco di animali che hanno assaltato la vettura.

Milioni di euro di danni. È da anni ormai che si dibatte di questo problema, che ovviamente ha suscitato anche varie polemiche politiche (ne abbiamo raccontato anche nei giorni scorsi dal nostro sito), e in particolare la Coldiretti, anche con le sue rappresentanze regionali, è in prima linea per cercare di arginare il fenomeno proponendo soluzioni anche drastiche. Nello specifico, il presidente laziale dell’associazione ha stimato che “i danni causati al sistema agricolo regionale siano tra i 3 ed i 5 milioni all’anno”, mentre in tutta Italia circolano ormai oltre un milione di esemplari diffusi nelle piccole e grandi città, causando spesso anche incidenti stradali.

Un problema di vecchia data. Più precisamente, una nota siglata dai vertici nazionali, ovvero il presidente Roberto Moncalvo e Vincenzo Gesmundo, segretario Coldiretti, sostiene che “negli ultimi dieci anni il numero dei cinghiali presenti in Italia è praticamente raddoppiato”, mettendo in pericolo “la sicurezza nelle aree rurali ed urbane per il loro proliferare con l’invasione di campi coltivati, centri abitati e strade dove rappresentano un grave pericolo per le cose e le persone”. Questi animali selvatici infatti “distruggono i raccolti agricoli, sterminano gli animali allevati, causano incidenti stradali per danni stimati in centinaia di milioni di euro nell’ultimo decennio, senza contare i casi in cui ci sono state purtroppo anche vittime”.

Le polemiche di Coldiretti. Anche Coldiretti Lazio, attraverso le parole del presidente David Granieri e del direttore Sara Portaluppi, ha più volte invitato le istituzioni a prendere iniziative decise e concrete per far fronte a “un problema che si trascina da anni a spese degli agricoltori e della sicurezza dei cittadini”. Secondo Coldiretti, “lo sviluppo incontrollato dei cinghiali, con conseguenti rischi per l’incolumità dei cittadini e danni per gli agricoltori, va affrontato in maniera seria, con interventi mirati e azioni concrete”. Purtroppo, notano i rappresentanti dell’associazione, “di questa criticità si parla solo in occasione di foto o filmati che ritraggono gli ungulati mentre rovistano nei cassonetti o vagano per le strade o nelle aree verdi della Capitale, salvo poi dimenticarsene immediatamente quando si spengono i riflettori mediatici”.

La situazione nel Lazio. I coltivatori ripercorrono anche alcuni dei momenti che hanno portato alla crisi attuale, puntando il dito contro “l’immobilismo delle istituzioni delegate a gestire le attività di contenimento della fauna selvatica introdotte dalla legge regionale numero 4 del febbraio 2015″; fino a pochi anni fa, sostengono da Coldiretti Lazio, i cinghiali “erano una minaccia per il solo mondo agricolo”, mentre ora sono un’emergenza di interesse collettivo, perché “i branchi in cerca di cibo si spingono sempre più spesso nelle città e sono un serio pericolo per la sicurezza della circolazione stradale e per la incolumità dei cittadini”.

Danni per agricoltura e coltivatori. Il fenomeno è fuori controllo a causa dei mancati interventi di cattura e abbattimento, così come ha pesato la parziale applicazione dei piani faunistico-venatori, che hanno favorito la proliferazione abnorme dei capi. Un quadro che, unito alla “farraginosità della burocrazia” e all’inerzia delle pubbliche amministrazioni, che di fatto ha paralizzato ogni attività di contrasto, raggiunge oggi vette di crisi: i cinghiali “devastano coltivazioni di mais, foraggio, ortaggi e verdure, vigneti, noccioleti. Le aziende agricole subiscono perdite dal mancato reddito dei raccolti distrutti e sono inoltre costrette a farsi carico delle ulteriori spese per le nuove semine”.

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