CNF fuorilegge: codice degli avvocati bocciato dall’antitrust

L’Autorità di Garanzia aveva già bacchettato il Consiglio Nazionale Forense per un parere del 2012

L'antitrust, con il Provv.n 25487/2015 del 15 giugno 2015, riprende e sanziona nuovamente il CNF che, facendo orecchie da mercante ed essendo inottemperante sul punto, reitera un comportamento contrario alla legge italiana e comunitaria.

In sostanza, l'Autorità boccia il codice deontologico degli avvocati laddova questo vieta agli studi legali di farsi pubblicità su siti diversi dal proprio. Il CNF giustificava il proprio provvedimento in quanto la pubblicità comporta  "lo svilimento della prestazione professionale da contratto d'opera intellettuale".
Il vigente codice deontologico forense, entrato in vigore il 15 dicembre 2014, all'art. 35, comma 9, prevede che "l'avvocato può utilizzare, a fini informativi, esclusivamente i siti web con domini propri senza reindirizzamento, direttamente riconducibili a sé, allo studio legale associato o alla società di avvocati alla quale partecipi, previa comunicazione al Consiglio dell'Ordine di appartenenza della forma e del contenuto del sito stesso"; e aggiunge, al comma 11 che "le forme e le modalità delle informazioni devono comunque rispettare i principi di dignità e decoro della professione".

Stabilisce, infine, al comma 12, che "la violazione dei doveri di cui ai precedenti commi comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della censura".

L'Autorità di garanzia ha evidenziato che la consolidata giurisprudenza comunitaria e nazionale qualifica   i professionisti come "imprese" ai fini dell'applicazione delle norme in materia di concorrenza e gli stessi ordini professionali costituiscono associazioni di imprese.

Inoltre , costituendo i codici deontologici deliberazioni di associazioni di imprese, rientrano, come tali,  nel campo materiale di applicazione dell'art. 101 del TFUE.
Secondo l'antitrust, quindi, le disposizioni contenute nell'art. 35 del vigente codice deontologico forense vanno modificate in quanto ripropongono sostanzialmente quanto contenuto nel censurato parere n. 48 del 2012 che si pone in contrasto sia con il diritto comunitario che con il precedente provvedimento n. 25154 del 22 ottobre 2014.  

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