Compravendita immobiliare: le Sezioni Unite sposano la “Teoria formale”

La Suprema Corte risolve il contrasto giurisprudenziale a favore di una nullità meramente testuale dell’atto

La Suprema Corte risolve il contrasto giurisprudenziale a favore di una nullità meramente testuale (e non anche sostanziale) dell’atto. Il dado è tratto. Il verdetto delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sul contrasto giurisprudenziale, generatosi negli ultimi anni tra le contrapposte teorie della nullità formale e sostanziale dell’atto di compravendita, è stato finalmente emesso.

NULLITA’ SOLO TESTUALE – Con sentenza del 22 marzo 2019 n. 8230, le SS. UU. hanno risolto il conflitto in favore di una nullità meramente testuale dell’atto di compravendita, enunciando il seguente principio di diritto: "In presenza nell'atto della dichiarazione dell'alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all'immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato". In buona sostanza, la sentenza decreta il trionfo del precedente orientamento giurisprudenziale della cosiddetta teoria formale, su quello più recente che propendeva per la sanzione della nullità del contratto (e non più della risoluzione per inadempimento) anche per contrarietà a norme imperative ed in ragione di difformità sostanziale della costruzione rispetto al titolo abilitativo (cosiddetta teoria sostanziale). Per comprendere, tuttavia, la portata del pronunciamento delle Sezioni Unite, è opportuno ripercorrere a ritroso le tappe più importanti a livello legislativo e giurisprudenziale.

LEGGE BUCALOSSI – La prima comminatoria di nullità degli atti relativi a unità edilizie costruite in assenza di concessione, risale all’articolo 15 della legge n. 10 del 1977 (nota anche come Legge Bucalossi) che stabiliva che “Gli atti giuridici aventi per oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione sono nulli ove da essi non risulti che l’acquirente era a conoscenza della mancanza della concessione”. Una forma di invalidità, pertanto, assolutamente relativa, essendo rilevabile solo dal contraente in buona fede (ergo ignaro dell’abuso edilizio).

TEORIA FORMALE – Con la Legge del 28 febbraio 1985, denominata "Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico – edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie", e il successivo TU sull’edilizia n. 380 del 2001, la sanzione della nullità assurgeva, invece, ad un livello superiore. Quest’ultima, infatti, trascendeva dalla buona fede dell’acquirente ed atteneva unicamente alla mancata indicazione nell'atto, da parte dell'alienante, degli estremi della concessione. Era il preludio alla cd. "Teoria formale".

La successiva giurisprudenza della Suprema Corte proseguiva nel solco di una conferma piena e incondizionata della nullità assoluta dell’atto di compravendita, laddove risultavano essere mancanti nello stesso la “dichiarazione degli estremi della concessione edilizia dell'immobile oggetto di compravendita, ovvero degli estremi della domanda di concessione in sanatoria” (Cass. n. 8147/2000). Ai fini della nullità dell’atto, non rilevavano invece le ipotesi della irregolarità sostanziale del bene sotto il profilo urbanistico e/o della conformità o meno della realizzazione edilizia rispetto alla licenza o alla concessione. In assenza di tale conformità si poteva agire unicamente sotto il diverso profilo della risoluzione per inadempimento. Una teoria, quella formale, che affondava le proprie radici nell’ultimo comma dell’art. 1418 c.c. “Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge”.

Orientamento che veniva confermato dall’unanimità delle successive sentenze della Cassazione. Ad esempio, in materia di esecuzione specifica di concludere un contratto di compravendita, la Suprema Corte stabiliva che “…non osta all'emissione della sentenza ex art. 2932 cod. civ. la mancanza della certificazione di conformità del bene alla concessione edilizia, in quanto l' art. 40 della legge n. 47 del 1985 commina la nullità degli atti tra vivi con i quali si trasferiscono diritti reali su immobili ove non contengano la dichiarazione degli estremi della concessione, mentre non prende in considerazione l'ipotesi della conformità o meno della realizzazione rispetto all'atto concessorio” (Cass. n. 5068/2001).

TEORIA SOSTANZIALE – Il segnale, non ancora definitivo ma certamente tangibile di un diverso indirizzo, arrivava con la Sentenza n. 20258/2009. Quest’ultima, in tema di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto di compravendita, oltre ai requisiti propri della nullità formale (assenza della concessione edilizia dell'immobile e/o degli estremi della domanda di concessione in sanatoria), ai fini della pronuncia della sentenza del contratto non concluso, richiedeva altresì che l’immobile non fosse totalmente difforme dalla concessione e/o sanatoria. Ciò al fine di inasprire il contrasto all’abusivismo. Pronunciamento, quest’ultimo, che faceva da apripista a quello successivo, di segno nettamente e incontrovertibilmente contrario alla teoria formale fino ad allora sostenuta dalla Suprema Corte. Con sentenza n. 23591/2013, infatti, si stabiliva che “Deve ritenersi nullo, per contrarietà alla legge, il contratto preliminare di vendita di un immobile irregolare dal punto di vista urbanistico”.

La ratio di tale radicale cambiamento risiedeva nell’incongruità di un sistema che, da un lato, sanzionava con la nullità il trasferimento di immobili, in regola da un punto di vista urbanistico, che presentavano dei meri vizi di forma, consentendo, d’altro canto, il valido trasferimento di quelli non conformi urbanisticamente; lasciando in tal caso alle parti la possibilità di agire unicamente sul diverso piano dell’inadempimento.

Nuovo orientamento confermato da diverse sentenze successive (vedasi ad esempio Cass. n. 28194/2013 e Cass. n. 18261/2015). In particolare, nel confermare l’inversione a U, la Suprema Corte con sentenza n. 25811/2014 sottolineava la non perfetta formulazione della Legge 28 febbraio 1985, n. 47, articolo 40, comma 2, affermando al tempo stesso “…che dalla stessa è desumibile il principio generale della nullità (di carattere sostanziale) degli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica, cui si aggiunge una nullità di carattere formale per gli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica o per i quali è in corso la regolarizzazione, ove tali circostanze non risultino dagli atti stessi”. Prevedendo la nullità degli atti di compravendita immobiliari sul doppio binario, parallelo ma avente traiettoria analoga, della nullità sia formale sia sostanziale.

LA COMPOSIZIONE DEL CONTRASTO – La recente Sentenza della Cassazione a Sezioni Unite pone, dunque, fine ad un contrasto evidente e duraturo, decretando la vittoria della teoria meramente formale della nullità. Tale scelta è da ricondursi alla stretta adesione al dettato normativo (art. 1418 c.c. e DPR n. 380/2001, art. 46, commi 1 e 4). Se, pertanto, nel contratto vengono chiaramente indicati gli estremi del titolo abilitativo dell’immobile (e se la dichiarazione dell’alienante non è mendace) lo stesso resterà valido.

Eventuali difformità urbanistiche (anche gravi) saranno, invece, oggetto di diversa tutela tramite l’azione di risoluzione per inadempimento. Le Sezioni Unite osservano anche che detta valutazione non inficia in alcun modo la lotta all’abusivismo edilizio, prevedendo chiaramente, il richiamato DPR n. 380/2001, ai commi 2 e 3 dell’art. 36, la sanzione della demolizione, sia nei confronti del costruttore sia del proprietario, in caso di interventi eseguiti in assenza di permesso o con variazioni essenziali rispetto allo stesso.

Articolo a cura di:

Avv. Marco Tocci

Avv. Matteo Raimondi

 

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