“Dado”, inquisitore dei poteri forti in “Canta la Notizia”

Il paladino di giustizia è un menestrello dei nostri tempi, graffiante e caustico come pochi, un inquisitore dei potenti libero da freni inibitori

Può un personaggio di spettacolo definito leggero, intrattenere e divertire il pubblico esibendo il privato senza falsi pudori, liberando traumi ancestrali e convertirli in strali velenosi e catartici? Può ridicolizzare pericolosamente istituzioni dai più ritenute inviolabili fino demolirne la credibilità residua senza attenuanti, brandendo con disprezzo nomi e cognomi di avvoltoi spietati e senza volto? E’ successo al teatro Golden di Roma. Il paladino di giustizia è un menestrello dei nostri tempi, graffiante e caustico come pochi, un inquisitore dei potenti libero da freni. Ha cantato con veemenza il re nudo e con lui gli affamatori di un regime finanziario che ha sempre più le sembianze perverse dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate. Costoro fanno il pari con le tonache curiali che profanano il sacro perché al di là del muro ‘pecunia non olet’, là dove i misteri non sono quasi mai gaudiosi ma terrificanti e l’omertà è un delirio complice di misfatti che sconfessano il verbo. Questo ma molto altro ancora nell’incursione serale di Dado che, preceduto dalla proiezione di un antispot in musica  dedicato al canone Rai, alle 21.30 fa il suo ingresso sul palco con la solita aria bizzarra e l’inseparabile chitarra.

Scambia subito alcune battute confidenziali con il pubblico in prima fila e lo reclama tutto vicino a sé per nutrirlo di primizie appena colte e regalare due ore di comicità intensa e ‘senza protezione’. E’ il preludio ad un notiziario che si arricchisce pressoché in diretta, come la vittoria della Roma nel derby, un autentico work in progress a cui ci ha da tempo abituato ma che rivela un’anima antagonista e dissacrante come mai prima. L’esordio è dedicato alla pubblicità a reti unificate e all’icona  per eccellenza di una repubblica fondata sulla disoccupazione evocata dal profeta del riposo forzato: il materasso a marchio Fabbricatore. Guanciale, lattice e trapunta diventano gli strumenti subliminali del sogno erotico della massaia italiana che ansima una dimostrazione a domicilio. L’antipasto all’italiana è servito. Uno stornello prelude all’ambientazione romana di ‘Spectre’, ultimo capitolo della serie infinita dello 007 più impegnato del pianeta. E’ il pretesto per una narrazione sui sorci capitolini poco rappresentati al digitale e sulle dimensioni da caccia al tesoro del pistolino di un mito sopravvissuto ad ogni flagello e abbattuto da un sampietrino. I generosi rimborsi della Produzione che ha così inteso sdebitarsi per il disturbo arrecato alla cittadinanza, hanno raggiunto residenti, finti negozianti, falsi invalidi, falsi sordomuti, mobilitando gli addetti ai lavori contro la Caritas, più che contro la Spectre.

L’ultima scoperta degli astrofisici porta il nome di Kepler 452b, gemello anziano del nostro globo terrestre, molto simile per caratteristiche e distanza dalla propria stella ma con alcune differenze apprezzabili, ed è il caso del più evoluto e spregiudicato sistema di gradimento su Facebook, e altre meno richieste, come l’avvicendamento delle suocere nel perpetuarsi alternato del giorno e della notte. Non sempre l’educazione impartita ottiene i risultati sperati e la nonna di Dado, cintura nera, terzo dan e primatista di messe nella stessa giornata con nipote al seguito, non poteva preconizzare il seme della discordia che stava covando in famiglia. Un catechista alla Full metal jacket non aiutava la conversione. Proverbi secolari venivano addomesticati da cotanta nonna per usi religiosi. ‘Il piccolo chimico’ era il dono di compleanno per i bambini fortunati ma a Dadino era riservato ‘il piccolo vescovo’ . A Carnevale il costume di San Francesco era sì unico ed originale ma tra saio, cordone e sandali e le armi impari di uno Zorro a rimorchio non c’era partita. Ricorda la cecità evitata nonostante le disubbidienze ormonali, le domeniche a San Pietro e l’emiciclo dove le curve di folla richiamavano quelle da stadio solo per l’ immaginazione sfrenata di cui era già dotato; e poi i papaboys  un tantino folgorati. Nulla a che vedere però a confronto con il misticismo esagitato della ‘Cristoteca’. L’esibizione coinvolge ripetutamente il pubblico in un ‘Gioca jouer’ riveduto e corretto per l’occasione.

Liberarsi dalle paure, dai traumi e dagli indottrinamenti, decodificare più tardi manifestazioni così invasive, ammette il comico romano, non è stato facile. Lo sbando di un sistema centrale ecclesiastico ingordo contro natura e contro Dio e che genera mostruosità di cui finalmente deve dare conto al mondo è lo spunto di una godibilissima irriverente parodia in musica. Ma la battaglia più difficile l’avrebbe combattuta molto tempo dopo ed è storia recente di ordinaria follia, è il provvedimento emesso da un fisco iniquo la cui protervia impunita non conosce rimorso. Al confronto i problemi seguiti al funerale dei Casamonica si sarebbero rivelati innocui. Dado regala alla platea il brano eseguito per le esequie imperiali di un esponente della malavita romana con ‘il patrocinio’ delle istituzioni al completo. In questo caso alle minacce pesanti della malavita si contrappone la presenza di uno Stato sonnolento il cui conforto si esaurisce in una nota informativa: ‘Ha 90 giorni di tempo per la denuncia’. Ma è appunto l’intimazione da parte della Agenzia delle Entrate al pagamento di una cartella non dovuta di novantamila euro che scatena l’ira incontrollata del comico. Matura la sua ritorsione con puntigliosità e lucida predeterminazione. E’ il momento più forte dello spettacolo, inaspettato nelle proporzioni, spietato e incurante delle conseguenze. Lo Stato che quando chiede si mostra cinico e brutale, non è altrettanto educato nel porgere le scuse quando sbaglia.

Dietro al software Serpico che processa le informazioni ci sono funzionari e dirigenti irrispettosi che quando incrociano i dati in modo anomalo provocano guasti a volte mortali e si limitano a bofonchiare che ‘l’accertamento era dovuto’. Quei nomi e cognomi di alti rappresentanti, da Rosalba Capece ad Attilio Befera, vengono esposti al pubblico ludibrio e i loro dati anagrafici anch’essi incrociati senza pietà, senza imbarazzo, senza riservatezza né pudore. Dai loro anagrammi scaturiscono espressioni da trivio inquadrate in altrettante categorie altamente hard. Non si può non essere d’accordo sul giudizio. Rimane però una nota dissonante, troppo cerebralmente autoamara per essere spontaneamente comica, in cui avverti la pesantezza della vicenda personale che imbriglia il libero volo dell’ironia e la parodia svilisce nell’insulto. E’ nel finale che Dado riserva il meglio del repertorio, è l’artista apprezzato che ci piace per la sua osservazione della realtà e le sfumature che coglie e interpreta. La raffigurazione del piccolo borghese che si documenta ‘per sentito dire’, con superficialità e senza accertamenti diretti e le esegesi opposte date ad una medesima caratteristica a seconda della diversa condizione sociale rappresentano la parodia della realtà deformata da ciascuno oltre che dell’assurdità dei punti di vista che involontariamente il senso di appartenenza e l’impostazione consolidata di volta in volta fa assumere. Il brutto diventa così un tipo nella media borghesia per divenire affascinante nell’alta borghesia. Il grasso che comunemente è visto come una palla di lardo, è invece obeso o ha le ossa grandi se l’opinione è espressa da un membro della media o dell’alta borghesia.

La donna di servizio nell’alta borghesia è un’intera famiglia di filippini. Anche il cane e chi lo porta a spasso cambia a seconda del lignaggio. Le tipologie di scuola privata hanno un diverso approccio nel metodo e negli atteggiamenti di coloro che vi gravitano e anche la segnalazione di epidemie è diversamente intesa. Superba dimostrazione mimica e gestuale, come nel verso al labiale della gens aristocratica, ermetico e incomprensibile. Dado chiude la serata con una visita all’Expo caratterizzato da stranezze architettoniche e dalle file anche a ferragosto, con le sorprese gastronomiche di alcuni padiglioni tipo Corea e l’ostentazione del machete sullo stemma dell’Angola. La delusione America e lo stravagante orto verticale impraticabile. Una divagazione sugli inni nazionali e sul nostro tormentone anacronistico. C’è spazio anche per Garibaldi e per la filastrocca a lui dedicata rivisitata insieme al pubblico che gli tributa infine un meritatissimo applauso da standing ovation. Spettacolo attualissimo, originale e coraggioso, scritto insieme a Emiliano Lucisano e Marco Terenzi, a cui è affidata anche la regia, che verrà replicato al teatro Golden di Roma il 16 novembre ed il 14 dicembre 2015.

Sebastiano Biancheri

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