Dalla Legge antica al Vangelo

L’amore verso i nemici

Nel brano del vangelo (Mt. 5, 38-48) che ascolteremo domenica 23 Febbraio nella liturgia eucaristica, Matteo presenta, inserendola nel “discorso della montagna”, la legge nuova che porta a compimento la legge antica. Dopo aver presentato il compimento delle leggi sull’omicidio, l’adulterio , il divorzio e il giuramento, Gesù continua con la legge del taglione e l’amore dei nemici.

La legge del taglione (vv. el t38-42)
Ricordiamo che le antitesi (tra legge antica e legge nuova) sono introdotte dall’affermazione seguente: “Avete inteso che fu detto…ma io vi dico”. L’affermazione è di uno straordinario vigore. “Fu detto”, modo impersonale di esprimersi per evitare l’uso del nome di Dio, significa chiaramente: “Dio ha detto”. “Avete inteso” richiama alla mente la lettura solenne nella liturgia sinagogale, insieme alla preghiera che iniziava con le parole “Ascolta Israele”, in cui il pio israelita ogni giorno si metteva in atteggiamento di ascolto della Parola di Dio. A questa legge sacra Gesù oppone le sue proprie affermazioni: “Ma io vi dico”. Il nuovo Mosè atteso, profetizzato dalle parole del Deuteronomio (18, 15), si realizza in Gesù in maniera sovrabbondante.

“Occhio per occhio e dente per dente” (v. 38)
Il vecchio diritto tradizionale in uso nell’Oriente antico prevedeva che la punizione del colpevole fosse uguale alla mancanza compiuta. Si tratta della legge del “taglione” (dal latino: tale e quale, tale la pena quale la colpa) che troviamo nell’Esodo, Levitico e Deuteronomio. Essa voleva essere un freno nella repressione dei crimini nell’esercizio del diritto di vendetta. La legge del taglione limita questa vendetta all’equivalenza: la pena è proporzionata alla colpa. Questa legge impedisce la progressione della violenza, procurando a entrambi i litiganti, nella pausa intervenuta, la possibilità di migliorare i propri rapporti. Non voleva mettere in cattiva luce l’aggressore, ma indurlo a rinunciare alla violenza e in definitiva a riconciliarsi. Anche per l’aggredito la richiesta non è senza efficacia. Essa gli insegna a capovolgere certe normali regole umane di comportamento e a vedere nell’avversario l’uomo.
Nella nuova legge, Gesù esige che si rinunci in maniera assoluta a questo diritto di vendetta, comandando di non resistere al malvagio: il Regno di Dio è il Regno del perdono e dell’amore! Nell’invito a porgere l’altra guancia, i fedeli hanno potuto riconoscere la figura del “servo di Dio” il quale non ha opposto resistenza a coloro che lo schernivano. Questa figura affiora in tutto il racconto della passione: i discepoli imitano il comportamento tenuto da Gesù durante la sua passione. Nel Vangelo la rinuncia alla violenza è in primo luogo espressione della sequela di Gesù. La potenza dell’impotenza poggia sulla fede che l’impotenza della croce vince il male. Porgere l’altra guancia è l’esempio di Gesù che intraprende il cammino verso il sacrificio della croce. La parola di Gesù non è una teoria dello Stato, ma si rivolge a coloro che vogliono seguirlo, ai discepoli di Gesù, in ultima analisi alla Chiesa, che nella sua esistenza mette in questione gli ordinamenti umani fondati sulla violenza.

L’amore dei nemici (vv. 43-48)
“Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”: nella prospettiva dell’Antico Testamento (Lv. 19, 18), la nozione di prossimo era intesa in un senso piuttosto limitato. Per un israelita, il prossimo non poteva essere che un connazionale! Gli altri erano esclusi dalla comunità: al più, il forestiero, che abitava in Israele, poteva rientrare nella categoria di prossimo! Al tempo di Gesù, la nozione di prossimo era stata ristretta a quelli che avevano accettato il battesimo dei proseliti e la circoncisione. Anzi, lo straniero che da dodici mesi viveva in mezzo a Israele ma non aveva abbracciato la religione ebraica, continuava ad essere considerato come un pagano al quale non era dovuto alcun amore. “Odierai il tuo nemico” era un detto popolare in uso al tempo di Gesù e che ritroviamo nella regola di Qumran (una comunità dei figli della luce). Probabilmente l’odio dei nemici nasce dall’odio degli idoli che i pagani servivano al posto del Dio unico. La storia di duemila anni di cristianesimo ci rivela che l’odio può invadere l’anima dei cristiani: le parole di Gesù sono contemporanee di ogni uomo!

“Amate i vostri nemici” (v. 44)
All’amore del prossimo connazionale Gesù contrappone l’amore universale che elimina le barriere razziali, che abbatte le frontiere dei clan, che supera il ghetto religioso. Finora si limitava la propria carità ai buoni e ai giusti, a quelli che ci amavano, adeso bisogna estenderla ai nemici e ai persecutori, ai malvagi e agli ingiusti, ai pubblicani e ai pagani. La motivazione dell’amore che il discepolo porta ai nemici e che conferisce ad esso il suo carattere specificamente cristiano, è l’appartenenza a Gesù. “Pregate per i vostri persecutori”. Il tema della persecuzione richiama la situazione dolorosa della chiesa palestinese esposta alla persecuzione dei giudaizzanti, proprio al tempo in cui Matteo redigeva il suo Vangelo: non è forse ciò che ha fatto Gesù stesso nella sua passione, imitato subito dopo da Stefano nel suo martirio?

“Siate figli del Padre vostro che sta nei cieli” (v. 45)
Su quale base si fonda questo amore dei nemici? Non sulla propria comunità della carne e del sangue, ma sulla relazione con il Padre celeste: l’amore dei discepoli di Gesù è un amore che imita quello del Padre e lo manifesta, un amore universale, privo di frontiere. Chi è capace di amare i propri nemici si dimostra figlio di Dio. L’indole dei figli è l’indole del padre, la sua è la loro natura, la sua condotta la loro condotta. Dalla somiglianza si riconosce la parentela. L’idea della somiglianza a Dio ci si presenta qui nel suo aspetto morale, in quanto si invita a imitare Dio. L’imitazione di Dio è motivata dalla sua attività intensa a mantenere la creazione, per cui egli dona a tutti gli uomini i suoi benefici, sole e pioggia, senza far distinzione tra malvagi e buoni, giusti e ingiusti, nemici e amici.

“Siate perfetti come il Padre vostro che è nei cieli” (v. 48)
L’ideale proposto dal Signore è la stessa perfezione di Dio. Nell’amore indiviso che non esclude nessuno trova compimento l’imitazione di Dio. E’ chiaro che l’uomo non raggiunge mai la misura di Dio; ma nella limitata misura dell’umano l’uomo deve essere indiviso nel proprio amore. Nel vangelo di Matteo, perfetto è colui che porta a compimento la pienezza della legge nuova presentata dal Cristo.

Bibliografia consultata: Deiss, 1974; Gnilka, 1990.

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