Democrazia, un viaggio verso il futuro che dura da 2500 anni

La democrazia ha origini nell’antica Grecia ma oggi quanto si può parlare veramente di democrazia?

Alla luce della storia la democrazia si presenta come un modello imperfetto da considerarsi come un progetto, un ideale incompiuto e caratterizzato dalla continua ricerca del perfezionamento e miglioramento della stessa. I due termini del nostro linguaggio ovvero democrazia e sistema rappresentativo noi li usiamo come sinonimi perfetti e questo dipende dal fatto che le democrazie moderne successive alla Rivoluzione Francese sono rappresentative, cosa che per gli antichi greci era inconcepibile. Gli Stati liberali dell'Ottocento, frutto anche dell’illuminismo e dei grandi stravolgimenti politici e sociali, senz’altro istituzionali ma non ancora egualitari, erano Stati che andavano affermando alcuni diritti fondamentali, ma non universali. Per esempio il suffragio era ridottissimo e in Italia fino al 1882 votava solo il 2%, della popolazione attiva. A un certo punto, verso la fine dell'Ottocento, lo schema dello stato liberale puro, basato su di una ristrettezza della partecipazione dei cittadini alla vita politica, è andato affievolendosi dietro la spinta dei grandi movimenti popolari, dei movimenti socialisti, dei movimenti popolari cattolici, i quali permisero che le grandi masse entrassero a far parte della vita politica e sociale e questa fu una grande novità.

Uno dei fondatori del moderno concetto di democrazia, Rousseau, teorizzò invece il concetto di democrazia diretta intesa come una forma di democrazia direttamente riconducibile a quella dell'antica Grecia, legata ad una dimensione sociale molto piccola quale quella della città e non ad una grande dimensione, come quella della realtà dello Stato moderno; egli sosteneva che le decisioni ed il voto dovessero essere a maggioranza e tale sistema di voto era il segno esteriore della volontà generale. Nel concetto di democrazia di Rousseau, però, non c’era posto per la lotta politica, così come non c’era posto per i partiti in quanto avrebbero potuto imporre la loro volontà generale sui singoli componenti del gruppo e la loro volontà particolare rispetto agli obiettivi di tutta la comunità. In epoca moderna abbiamo raggiunto un grande risultato, l'affermazione della Carta dei diritti dell'uomo, però i diritti dell'uomo sono continuamente violati; lo sperimentiamo ogni giorno nelle nostre città, nella nazioni, così come nelle grandi vicende storiche contemporanee; questo però non significa che aver sancito la Carta dei Diritti dell'uomo sia stata una cosa inutile perché, comunque, siamo stati in grado di affermare un criterio, un principio cui fare riferimento e sulla base del quale poter criticare la realtà esistente.

Eppure i rischi per la democrazia sono sempre attuali, molti rappresentanti politici, deputati, membri del Parlamento, in realtà, nonostante il divieto di mandato imperativo curano gli interessi di partito; essi hanno spesso un mandato vincolato dal partito tanto che, se non eseguono le direttive del partito, probabilmente vengono eliminati; è vero che il partito dovrebbe aggregare interessi diversi però in un sistema politico come quello italiano ci sono tanti partiti e c'è il rischio che ognuno dei partiti diventi un gruppo di interessi e in questo caso il rappresentante del partito attraverso di esso diventa un rappresentante di interessi.

In relazione a questa ambivalenza tra rappresentanza di interessi particolari e rappresentanza politica non solo è possibile ma è frequente la degenerazione del divieto di mandato imperativo cioè che dei deputati vengano eletti perché tutelino interessi particolari; in quel caso lo stato di cose che si determina non solo può alimentare delle forme di corruzione ma a un certo punto lo stesso Parlamento, in questo rapporto di scambio che si viene a creare fra l'elettore e l'eletto, diventa terreno di scambio. Dall'altra parte l’eletto o l’eligendo promette in cambio del voto alcuni beni o “favori” che vengono elargiti attraverso le risorse pubbliche di cui l'uomo politico dispone, la pensione, la pressione fiscale, il posto di lavoro e qualche volte anche una legge creata ad hoc; è il rapporto clientelare, basato sul do ut des, ma non è uno scambio necessariamente economico bensì uno scambio di beni che sono nel mercato politico; questa è una delle caratteristiche della democrazia che i maggiori teorici del diritto e della politica ritengono sia inevitabile.

L’effetto di tale sistema è che il cittadino si disaffeziona rispetto all’assenza di un adeguato impegno da parte dei parlamentari e dei politici, nei confronti della cosa pubblica. La delegittimazione del sistema politico nel suo complesso, infatti, apre grandi spazi di opportunità per le decisioni del sistema economico e, di conseguenza, degli attori dei processi economici e di lobby. Congiuntamente a questo effetto si produce uno dei maggiori fattori di disagio della democrazia contemporanea, cioè la tendenza alla crescita di fattori oligarchici all'interno della democrazia e questa minaccia può essere considerata uno dei temi cruciali del nostro tempo.

Quando, allora, la democrazia come tale tende ad essere la più perfetta possibile e realizzata pienamente? Quando essa può avvicinarsi il più possibile a quella connessione fra democrazia formale e democrazia sostanziale? Quando siamo veramente democratici? Nel momento in cui viene a costituirsi un insieme di connessioni, un insieme di rapporti, che non si esauriscono nei diritti politici, ma che metta in campo, per esempio, l'importanza dei diritti sociali e dei diritti economici. Non può esistere solo il Parlamento come elemento garante della democrazia reale, e quindi come mediatore principale di quella rappresentanza puramente politica, esistono molti altri momenti della vita pubblica nei quali la partecipazione, magari non direttamente politica, a realtà associative, alle istituzioni locali, ecc., possono costituire, ognuno attraverso il proprio contributo, momenti di organizzazione di una società più ricca e complessa.

Non vi è dubbio che a carico della classe politica, siano da imputare limiti attitudinali, carenze, incapacità decisionali, inefficienze e inettitudini organizzative tali da allontanare anche i cittadini più motivati. Ciò avviene ad esempio nella nostra realtà italiana, dove le riforme elettorali non hanno ridotto bensì accresciuto il numero dei partiti, e dove in un passato recente il cosiddetto "bipolarismo", che avrebbe dovuto semplificare i rapporti fra le forze politiche, ha costituito invece motivo di litigiosità fra i partiti e di incapacità degli stessi a coniugare le proprie scelte con un’idea di interesse generale fino a portare ad un tripolarismo. È sempre dietro l’angolo il rischio che l’esasperazione delle libertà individuali conduca a forme di scomposizione, divisione, tali da mettere in discussione quel tessuto comune della società di cui la democrazia non può non essere espressione. È pienamente condivisibile il pensiero di Ralf Dahrendorf, filosofo, sociologo e politico tedesco, secondo il quale in un paese democratico sussiste sempre il pericolo del totalitarismo. Questo però non significa che non ci siano altri pericoli per la democrazia.

È verosimile tenere alta l’attenzione nei confronti di un passaggio ad un regime oclocratico, appunto sulla base di quella scomposizione prima affermata; l'oclocrazia (dal greco antico: ὅχλος, óchlos, moltitudine o massa, e κράτος, kratos, potere) si configura come uno stadio di governo deteriore nel quale la guida della collettività è alla mercé di volizioni delle masse.

È quanto sta accadendo oggi in Italia? È reale il rischio di tale deriva? L'oclocrazia è un chiaro stadio di degenerazione della democrazia, uno stadio in cui il potere del Popolo si tramuta in potere dell'ochlos, ossia di una moltitudine disordinata e senza identità, e nel quale ci si illude di esercitare liberamente la propria funzione mentre, in realtà, la massa è diventata uno strumento animato nelle mani di pochi che la seducono anche distribuendo denaro e beni materiali di ogni genere o sfruttando l’onda del malcontento. È quanto alcuni teorici hanno ipotizzato, nell’attuale periodo politico, forse elaborando quello che sembra essere un vero e proprio vaticinio.

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