Dimentichiamo(ci). L’arte tutta italiana dei furbetti e delle amnesie

Storie di uomini e donne affamati di celebrità

Era il tempo migliore e il tempo peggiore,
la stagione della saggezza e la stagione della follia,
l’epoca della fede e l’epoca dell’incredulità;
il periodo della luce, e il periodo delle tenebre,
la primavera della speranza e l’inverno della disperazione.
(Le Due Città, Charles Dickens, ed. Sonzogno )

“Arriva l’alba o forse no. A volte ciò che sembra alba non è” cantavano gli Afterhours e in molti anche nella musica alternativa si presentano come autori ‘colti’ e di nicchia e poi cercano soltanto visibilità, non è il caso di Agnelli e soci naturalmente, questi individui sono, come dice una mia amica, ‘affamati di celebrità’. La mancanza di riconoscimento sociale e artistico produce rabbia, frustrazione, cattiveria e però, talvolta, tutto questo porta alla conquista della tanto agognata fama. Fino ad arrivare a calpestare il cadavere della propria madre. Ce ne sono moltissimi in tutti gli ambiti lavorativi.

Camminerebbero fra i cadaveri manco fossero Robert Fisk a Beirut nel 1982.

Questa premessa per introdurre chi ce la fa e chi no, chi fa la storia e chi resta in ombra, chi vince Sanremo e chi no, chi si tiene il nome dei Tiromancino e chi, Riccardo Sinigallia e consorte, resta in disparte, nella propria poesia semisconosciuta ai più che fa scrivere agli internauti su facebook: “Questo tizio copia troppo i Tiromancino”. Senza sapere che lui era quello che ha inventato il suono dei Tiromancino.

Ci lasciamo alle spalle la vittoria di Arisa, bella voce, ma con una canzone brutta, e arriviamo subito a un altro che ce la fa: il neopremier Matteo Renzi,  l’ex sindaco di Firenze, ex primarie Pd, ex Ruota della Fortuna compro una vocale, ex “Enrico Letta stai sereno” e che prende le redini del nostro sgangherato Paese.

Avevo una collega di corso al Master di Giornalismo che mi ricorda Renzi che vince su Bersani prima e sul povero Letta poi, che sale al Quirinale con i suoi ministri e proprio ieri fa il suo primo discorso in Senato. Un discorso apologetico, demagogico, un po’ retorico un po’ patetico e pure ipocrita nel saluto a Letta che da bravo signore di classe se ne è andato di scena in silenzio e con tanta amarezza. Questa ‘collega’, dicevo, era carina e sempre col sorriso stampato sul viso, sempre pronta a dire la cosa buona e giusta, mai politicamente scorretta, almeno all’apparenza. Eh sì, perché l’apparenza conta in questo Paese, la professione che farai da adulto la decide la tua ‘apparenza’, è proprio un fatto di come ci si presenta.

Altri fattori determinanti per la conquista della ‘gloria’:  sfacciataggine mista a buonismo,  capacità di proporsi, di essere ruffiani, di adulare al momento giusto la persona giusta e di saper conquistare e accattivarsi l’opinione pubblica e il pubblico televisivo, che non ha mai brillato per capacità critica, riflessiva, che riduce la politica a farsa e che, come la mia collega conquistava a suon di sorrisi, banalità e adulazioni i nostri docenti universitari, così si fa conquistare dalle frasi sulla scuola e gli insegnanti di Renzi, che poi la Scuola e l’Università li hanno smembrati,  rovinati e saccheggiati in questi ultimi venti anni proprio i Governi.

“Le città delle donne.it” sostiene le donne e ci auguriamo che le donne del Governo Renzi, perché non crediamo solo alla mera questione di ‘genere’, siano all’altezza dei loro compiti e che non siano una brutta copia dei Governi Berlusconi. Però, voglio ricordare che fare fuori politicamente Emma Bonino è stato un passo falso di partenza di Renzi. La Bonino è stata ed è una donna dal grande valore politico che non andava silurata e soprattutto senza nemmeno un ‘grazie’. Eppure è andata così.

Vincono sempre i furbi, non gli astuti badate bene, ma i furbi, gli arrivisti quelli che appunto ‘arrivano’ e non ci mettono né cuore né anima. Forse a vantaggio di qualche sorrisetto e qualche gomitata in più.

A Londra, in peno centro, a Leicester Square, c’è una statua che ricorda Henry Irving, l’attore teatrale britannico.

Noi non sappiamo nemmeno chi siano stati Renzo Ricci e Salvo Randone. Però sappiamo quanto siano bravi Michele Placido e Filippo Timi (mio Dio!). Piangiamo per la recente scomparsa di Harold Ramis, con tutto il rispetto non proprio Marlon Brando e comunque il prestigioso New Yorker lo ricorda e fanno bene, loro. Noi a malapena ricordiamo Carmelo Bene e Vittorio Gassman e soltanto per motivi che nel primo caso esulano dal genio di Bene e nel secondo grazie allo schermo cinematografico, non rileviamo la grandezza attoriale teatrale immensa di Gassman, ma è già tanto per noi italiani sempre colpiti da irriconoscenza ed amnesia. Ah, a proposito, ‘Profumo di Donna’ è un film di Dino Risi interpretato magistralmente da Gassman e non da Al Pacino!

E sempre a proposito di amnesie e di ricordi e di Sanremo, non mi è piaciuto Gino Paoli che ha intonato malamente: ‘Vedrai Vedrai’ senza sprecare una parola per il suo compianto amico Luigi Tenco, al funerale del quale non andò, come non mi è piaciuto che si incensasse Marco Mengoni( chi???) dopo aver cantato con i vari birignao “Io che amo solo te” senza ricordare Sergio Endrigo che la canzone l’aveva composta ed eseguita. Non mi è piaciuto che a Sanremo non si ricordasse un maestro della canzone che tante volte aveva calcato quel palcoscenico anche in veste di autore, basti pensare a La nevicata del ’56 interpretata dalla grande Mia Martini,  mi riferisco a Franco Califano.

Non mi è piaciuto  lo spettacolo volgare del formichiere Fabio Fazio e della dentona Laeticia Casta che, pur essendo incapace di recitare ballare e cantare, non sa fare proprio nulla, intonava e ancheggiava: “Ma ndo vai se la banana non ce l’hai” senza nemmeno citare la grandissima Monica Vitti, che sarà pure malata, ma è ancora viva ed è stata una delle nostre più grandi artiste senza considerare che non utilizzò mai la sua evidente bellezza per fare carriera, come molte donne di oggi che ne fanno la loro unica arte e non è il caso della Casta naturalmente, perché  nemmeno possiede quello di talento.

 

Eppure sempre quel signore inglese, Charles Dickens, scrisse in uno dei suoi bellissimi racconti di Natale: “ Una Fantasia di Natale, L’invasato e il patto del fantasma” ( ed. Marsilio, 2005 )  di un vecchio signore che stipula un patto con un fantasma per poter dimenticare. Il protagonista del racconto desidera dimenticare ricordi, affanni, dolori, disgrazie, e il  fantasma gli concede il dono di dimenticare e di contagiare chiunque gli si avvicinerà. Alla fine, però, disperato, si rende conto che dimenticare, non ricordare, è come non vivere.

Tuttavia, se lo preferite, dimenticate quello che vi ho appena scritto.

Dimentichiamo le parole dette e quelle pensate, quelle scritte e desiderate, dimentichiamo tutti, dimentichiamo di dimenticare.

Dimentichiamo di esserci amati, troppo estranei per essersi amati, dimentichiamo di aver avuto politici di grande spessore, un cinema che ha fatto storia, una musica che ha creato poesia, attori che ci hanno emozionato che nemmeno mille vite di Hollywood potrebbero sostituire, dimentichiamo i libri letti e gli autori che ci hanno formati.

Tanto non vale la pena ricordare e c’è chi non lo fa più da tempo immemore.

Senza nessun rancore, dimentichiamo(ci).

* Articolo di Mariagloria Fontana, pubblicato da Le Città delle Donne, per gentile concessione dell’autrice.

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