Giovanni Battista il precursore

In sua compagnia verso il Natale

Nella terza domenica di Avvento campeggia la figura del precursore del Messia: Giovanni Battista, il quale manda i suoi discepoli da Gesù per interrogarlo sulla natura della missione del maestro di Nazaret. Gesù risponde a Giovanni riportando un testo messianico del profeta Isaia, da cui si comprende benissimo la modalità con cui il Cristo esercita la sua missione di Messia annunziato, ed esprime, inoltre, il proprio pensiero sulla missione di Giovanni.

La domanda di Giovanni (v. 3): “Sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro?”. Giovanni, rinchiuso nella fortezza di Macheronte da Erode Antipa, manda da Gesù i suoi discepoli per essere rassicurato che Gesù è il Messia atteso, più potente di Giovanni. Infatti, il tratto caratteristico di “colui che viene” doveva essere la forza. Giovanni ha idee molto precise della natura di questa forza, che si manifesterà presto. Essa è simile alla forza del contadino che afferra la sua scure per abbattere l’albero infruttuoso e buttarlo nel fuoco. La illustra anche con l’immagine dell’agricoltore che pulisce la sua aia, bruciando tutto ciò che non è grano. In altre parole, Giovanni vede in colui che viene il terribile giudice che estirperà con il fuoco inestinguibile tutti i peccatori che non si saranno pentiti dei loro peccati e non avranno cambiato vita prima che sia troppo tardi. Giovanni si considera incaricato a preparare Israele al terribile giudizio: una volta arrivato colui che viene, sarebbe troppo tardi per sottrarsi alla sua forza distruttrice. Egli è cosciente del suo ruolo subordinato nei confronti di Gesù. Ma quello che capisce del modo con cui Gesù compie la sua missione, non corrisponde affatto all’idea che egli si fa del giudizio divino: per questo la domanda!

La risposta di Gesù: vv. 4-6. Gesù risponde descrivendo la sua attività benefica verso gli infelici. Le opere di Cristo sono quelle per mezzo delle quali il Messia doveva manifestarsi: esse richiamano gli oracoli messianici del libro di Isaia (II). Tra queste, la più caratteristica è l’espressione: la buona novella è annunciata ai poveri; i ciechi ricuperano la vista, i sordi odono, gli zoppi camminano, i morti risorgono. Inoltre, Gesù invita con discrezione Giovanni a considerare il ruolo del Messia sotto un aspetto molto diverso da quello che aveva attirato la sua attenzione. Il contrasto fra le due concezioni offre l’occasione per l’avvertimento di Gesù che chiude il messaggio indirizzato a Giovanni: “Beato è colui che non trova inciampo in me” (v. 6). Ciò che rischia di scandalizzare Giovanni è il fatto che Gesù intende la sua missione in modo diverso dall’idea che se ne era fatta Giovanni. Gesù si presenta non come il forte che dispiega contro i peccatori la potenza vendicatrice della collera di Dio, ma con la manifestazione della bontà misericordiosa del Signore verso i poveri e i sofferenti. Il contrasto è grande: accetterà Giovanni la rivelazione dell’amore, che si compie nell’umiltà e nella debolezza? Lo scandalo che minaccia Giovanni, e non solo lui, è il suo zelo, che potrebbe impedirgli di credere all’amore che Dio manifesta in Gesù. Quanto è attuale questo insegnamento!

Chi è Giovanni?
Gesù domanda per tre volte perché la gente sia andata nel deserto, riferendosi, appunto, “alla voce di colui che grida nel deserto” della profezia di Isaia. Si pensa immediatamente a Giovanni: il suo personaggio garantisce tutto il loro rilievo alle domande che lo riguardano. La gente non è andata nel deserto a contemplare una canna agitata dal vento, simbolo di arrendevolezza e di volubilità e che corrisponde alla nostra immagine della banderuola che si muove secondo il vento, perché Giovanni è un uomo che, consapevole della sua missione divina e sostenuto dalla forza dello Spirito di Dio, non si piega davanti a niente e a nessuno, perché fermo e inflessibile. Un altro contrasto è quello che oppone Giovanni agli uomini vestiti di morbide vesti, che vivono nei palazzi dei re e che sono espressione del lusso e dell’opulenza, dal momento che egli “portava il vestito di peli di cammello, una cintura di pelle attorno ai fianchi”, mettendone in risalto l’estrema austerità della sua vita e avvicinandolo al profeta Elia nel modo di vestire (2Re, 1, 8). Dunque, la gente era andata nel deserto per vedere un profeta: Giovanni è l’inviato da Dio e il suo portaparola. Anzi, Giovanni è ancor più di un profeta. La grandezza unica di Giovanni deriva dal posto che egli occupa nella storia della salvezza: egli si trova al termine e all’apice del tempo delle promesse, e anche sulla soglia dell’era nuova, quella del regno di Dio. Con lui, precursore del Messia, si apre l’epoca messianica della salvezza.

Il più grande e il più piccolo (v. 11).
Giovanni è messo in confronto con l’insieme dell’umanità: tra tutti coloro che sono vissuti, nessuno è più grande di lui. Ma questa grandezza appartiene ancora alle realtà del mondo presente; è niente in confronto alle grandezze del regno di Dio. Giovanni è sicuramente molto grande; ma cosa contano le grandezze umane davanti alle prerogative di cui godono i beneficiari del regno di Dio? Conta meno ammirare Giovanni che fare in modo di appartenere al regno di Dio. Giovanni non ha fondato il Regno di Dio, ma con la sua attività era tutto rivolto a colui che l’ha fondato. Egli quindi ha potuto già annunciarlo, per questo appartiene all’epoca di colui che l’ha iniziato e per questo vi fa parte anche lui. Col Battista si ha una cesura nel tempo: il tempo che lo precede è caratterizzato dai profeti e dalla legge; il tempo di Gesù, che il Battista ha preparato, continua nel tempo della Chiesa.

Bibliografia consultata: Dupont, 1969; Gnilka, 1990.

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