Gli porrai nome Gesù

Con Giuseppe verso il Natale

Il brano di Matteo (1, 18-24) che ascolteremo nella quarta domenica di Avvento dell’anno A non trova il suo apice nella rivelazione a Giuseppe della concezione verginale di Maria, come nel passo parallelo del vangelo di Luca (1, 26-38), ma nella persistenza per Giuseppe del suo diritto di paternità, paternità legale, che egli deve esercitare malgrado la sua riservatezza, la sua sincerità e la sua delicatezza. Il messaggio dell’angelo a Giuseppe comprende da una parte (“indubbiamente”) il fatto che Maria ha concepito per opera dello Spirito santo, e dall’altra (“ma”) il fatto che spetta a Giuseppe il diritto di dare un nome al bambino. Non è propriamente in ragione della concezione verginale, ma piuttosto malgrado essa, che il Figlio di David (Giuseppe) deve prendere con sé la madre del Salvatore.

La missione di Giuseppe
Matteo ha già avuto cura di avvertirci che Maria ha concepito dallo Spirito santo (1, 18). L’evento riferito si compie nel tempo in cui Maria è promessa sposa di Giuseppe. Il fidanzamento giudaico era l’inizio della celebrazione del Matrimonio e creava rapporti giuridici tra le parti. Maria può quindi essere già chiamata sposa di Giuseppe. L’età normale per il fidanzamento era per la fanciulla tra i 12 e i 13 anni e per l’uomo tra i 18 e i 24. La donna continuava tuttavia a vivere in casa dei genitori, restando sottoposta alla potestà paterna. Dopo un anno avveniva il passaggio nella casa dello sposo o matrimonio. Se la sposa in questo periodo si comportava in modo sessualmente disdicevole, era considerata adultera. In questo arco di tempo, Maria è già in attesa di Gesù, e questo concepimento non può essere ricondotto a Giuseppe. La reazione di Giuseppe è oggetto di disputa tra gli esegeti (studiosi della Bibbia). Una prima interpretazione afferma che Giuseppe ha un sospetto e si risolve a licenziare, a lasciare libera la sposa, pur rinunciando ad effettuare il ripudio in forma ufficiale, davanti a due testimoni. Una seconda interpretazione ritiene che Giuseppe si accorge che Dio ha in vista per Maria un grande disegno e, per un grande rispetto verso Dio che compie meraviglie, si separa da lei, decidendo di farsi da parte.

E’ proprio in questo momento che l’angustiato Giuseppe riceve un ammaestramento da Dio: Giuseppe deve inserire l’atteso bambino nella stirpe di David e deve perciò accogliere Maria nella comunità domestica e coniugale. Il Messia non può essere che “Figlio di David”: fra tutti i titoli messianici, è su questo che Israele si è un tempo soffermato con il massimo compiacimento. Gesù stesso ha preferito il titolo, che è ancor più misterioso di quello di “Figlio dell’Uomo”. Matteo, nella genealogia di Gesù all’inizio del suo Vangelo, prende in maggiore considerazione questo titolo prestigioso di “Figlio di David”. Non gli resta che comunicarci come Giuseppe prenda coscienza del ruolo provvidenziale che gli era riservato per assicurare fino alla fine la discendenza davidica del messia. Per Matteo, l’accettazione di questa situazione da parte di Giuseppe mette il punto finale alla genealogia di Gesù, figlio di David, figlio di Abramo. Mentre Giuseppe pensa di non avere alcun diritto sul bambino di Maria in virtù della sua concezione verginale, dopo l’intervento dell’angelo, non soltanto dovrà agire nei riguardi di Gesù proprio come farebbe un vero padre, ma la sua accettazione darà alle promesse di Dio il loro vero significato.

L’adozione come figlio da parte di Giuseppe avviene con l’imposizione del nome, che è affidata a Giuseppe. L’etimologia del nome “Gesù” indica il futuro compito del Messia. L’ebraico Jeshua significa “Jahvé è salvezza”. La salvezza viene interpretata nel senso di una liberazione dai peccati. La citazione di Is. 7, 14 (“Ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio che chiameranno Emanuele, che significa Dio con noi”) del v. 23, viene interpretata dalla tradizione cristiana in senso mariano: la vergine è Maria, la madre dell’Emanuele.

La giustizia di Giuseppe (v. 19)
Il giusto Giuseppe si desta dal sonno e agisce. Richiamando il comando dell’angelo, l’esecuzione descrive la sua obbedienza. Pur prendendo con sé Maria, egli non la conosce (sessualmente parlando). Giuseppe si mostra giusto, non tanto nell’osservare la Legge che autorizza il divorzio in caso di adulterio, né per il fatto che si mostrerebbe bonario e comprensivo verso Maria, sua sposa, né a causa della giustizia che sarebbe dovuta ad un innocente, ma perché non vuole farsi passare per il padre del bambino divino. Dopo la scoperta che Giuseppe ha fatto, si tratta di applicare la legge in modo giusto. Egli lo fa con amore: non vuole esporre Maria pubblicamente all’ignominia. Le vuole bene, anche nel momento della grande delusione. Non incarna quella forma di legalità esteriorizzata che Gesù denuncia in Matteo 23 e contro la quale lotta San Paolo. Egli vive la legge come vangelo, cerca la via dell’unità tra diritto e amore. Giuseppe si ritira avendo cura, nella delicatezza della sua giustizia verso Dio e verso Maria, di non divulgare il mistero che la concerne. Giuseppe seppe rispettare gli insondabili disegni di Dio. Fu un patriarca delicato, laborioso, amante, ubbidiente, rispettoso, silenzioso e disinteressato. Sarà compito della chiesa rivelarci su quali fondamenti e a quali profondità si colloca tanta grandezza.

Bibliografia consultata: Bouton, 1972; Gnilka, 1990; Benedetto XVI, 2012.

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