I due figli dissimili

di Il capocordata

La parabola (Mt. 21, 28-32) di domenica prossima, quella dei due figli pregati dal padre ad andare a lavorare nella sua vigna, viene narrata dall’evangelista nei giorni immediati il processo e la condanna a morte di Gesù da parte del Sinedrio e del Governatore romano. Un racconto sobrio, senza nessun particolare inutile, tale da distrarre l’attenzione da ciò che è essenziale. Matteo si limita a mettere bene in risalto il contrasto tra i due figli: il primo dice subito di sì al padre, ma poi non esegue il suo ordine; il secondo risponde di no, ma poi pentitosi andò a lavorare nella vigna del padre. Sorge allora spontanea la domanda: “chi dei due ha compiuto la volontà del padre?” Senza esitare gli uditori di Gesù rispondono: “l’ultimo” (v. 31). Nessuna esitazione era possibile: gli Israeliti sanno troppo bene che l’ubbidienza non è fatta di belle parole, ma del compimento effettivo di quanto è voluto da Dio; anche i cristiani sanno che bisogna amare Dio non a parole ma con le opere.

Applicazione alla situazione presente

Per caratterizzare l’ubbidienza vera e la religione autentica, la parabola ricorda l’insegnamento tradizionale che oppone “fare” a “dire”. Agli interlocutori che gli hanno dato una risposta conforme alla teologia più sicura, Gesù dichiara: ”In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio” (v. 31). Gli uditori a cui Gesù si rivolge si trovano in posizione antitetica rispetto ai “pubblicani” e alle “prostitute”, due categorie che rappresentano i peccatori professionisti, peccatori per il loro stesso stato di vita. Di fronte a questi peccatori pubblici, gli interlocutori di Gesù fanno la figura di “giusti” ufficiali, di persone che fanno professione di osservare fedelmente i comandamenti di Dio e tutte le prescrizioni che li completano nella tradizione ebraica. Questi giusti sono convinti non solo di dire “sì” a Dio, ma anche di osservare fedelmente e minuziosamente la sua volontà.

E’ chiaro che ai loro occhi i peccatori di cui parla Gesù non solo rifiutano i comandamenti di Dio, ma non sembrano affatto disposti a mutare condotta. Questi giusti identificano la volontà di Dio con le prescrizioni della Legge giudaica. La dichiarazione paradossale che Gesù rivolge loro dice senza mezzi termini che egli non accetta questa identificazione. Per lui, la volontà di Dio non si confonde con la Legge; attualmente essa coincide con il messaggio evangelico, con il suo appello alla conversione che consente l’accesso al regno di Dio. Gesù constata che i “giusti” rifiutano questo appello, mentre i “peccatori” lo accolgono. I giusti, forti della sicurezza che nasce dalla loro giustizia, ricusano l’invito divino. I peccatori, invece, ascoltano l’invito e compiono effettivamente ciò che Dio esige da loro.

Gesù definisce l’obbedienza a Dio in funzione del messaggio da lui proclamato e che rappresenta per i suoi uditori la volontà di Dio, qui e ora. L’ingresso nel regno dipende dall’atteggiamento di ciascuno verso il messaggio evangelico. Le pratiche religiose perdono il loro valore se infondono nell’uomo fiducia solo in se stesso, facendogli dimenticare l’invito alla conversione rivolto da Gesù. I peccatori rispondono a questo appello, rendendoli idonei per il regno di Dio.

“I pubblicani e le prostitute vi passano avanti”: entrano nel regno, non solo prima di voi, ma “al vostro posto”; essi vi entrano, voi no. Si tratta di una sentenza di esclusione contro individui che, rassicurati dall’osservanza della Legge, trascurano di compiere la volontà di Dio così come essa si presenta loro nella parola di Gesù.

Con questa parabola, Gesù ha quindi voluto presentare una situazione di fatto e rivelarne il significato drammatico. I benpensanti si scandalizzano nel vedere quali siano le persone che accettano la predicazione “dell’amico dei pubblicani e dei peccatori”. Gesù risponde loro che questi peccatori hanno saputo riconoscere la volontà di Dio e ubbidirgli effettivamente, mentre voi, che fate professione di ubbidire a Dio, non compite ciò che egli vi chiede. La parabola mette in risalto la coscienza che Gesù ha della propria missione: attualmente, ubbidire a Dio significa accettare il messaggio di Gesù e metterlo in pratica.

La parabola nel contesto di Matteo

Nel vangelo di Matteo, questa parabola è narrata in risposta alla colpevolezza dei capi dei giudei che non hanno voluto credere in Giovanni Battista, mentre, invece, i pubblicani e le prostitute gli hanno creduto. Ricusando di credere in Giovanni, gli interlocutori di Gesù rassomigliano al figlio che ha detto di no al padre e non si sono ravveduti, pur avendo visto che i peccatori hanno detto di sì al padre.

Inoltre, la parabola è collegata anche alla seguente, quella dei vignaioli omicidi. Si tratta sempre di un rifiuto verso il padrone della vigna: essa evidenzia l’atteggiamento di rifiuto verso gli inviati di Dio in generale, e più precisamente verso il “figlio”, il Cristo!

Interpretazione della parabola

Il rifiuto da parte dei capi religiosi di Israele non è soltanto verso il messaggio evangelico di Gesù ma anche verso il suo precursore, Giovanni Battista. Mentre, invece, i peccatori gli hanno creduto. Gli inviati di Dio si succedono: vi sono stati i profeti, poi il precursore e il Figlio in persona, in seguito verranno i discepoli; gli atteggiamenti degli uomini a loro riguardo sono sempre analoghi: incredulità e ribellione negli uni, fede e docilità negli altri. Soltanto questi ultimi entreranno nel regno. La parabola tende a dimostrare che l’ubbidienza non consiste nel dire di sì, ma nel fare ciò che viene chiesto. La volontà di Dio non si confonde con una serie di norme che basti osservare. L’ubbidienza è la risposta personale a un Dio che chiama ed esige, in maniera talvolta imprevedibile. Dal tema dell’ubbidienza a quello della fede: “Perché allora non gli avete creduto?”. Non avete creduto a Giovanni e l’esempio dei pubblicani e prostitute non vi hanno fatto rientrare in voi stessi e credere in lui. Parlando della fede, la parabola evidenzia l’ importanza della fede che fa da presupposto alla stessa ubbidienza. L’ubbidienza a Dio è possibile solo riconoscendo, mediante la fede, la sua volontà manifestata nella parola dei suoi inviati. E’ evidente che essa non potrebbe essere autentica se non fosse anche docilità e fedeltà all’invito di Dio. L’ubbidienza è risposta al Dio che parla, è accettazione di fede della sua parola che offre la vita, il regno.                            

Bibliografia consultata: Dupont, 1971.

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