I “Geni” del Festival

di Mariagloria Fontana

Mentre il Festival del Cinema di Berlino incoronava un altro film d’autore, “Child’s Pose” di Calin Peter Netzer, che la gente, intesa come massa, non andrà mai a vedere al cinema, a Sanremo e nelle case di quattordici milioni di italiani andava in onda il 63° Festival della Canzone Italiana. La prima serata si è aperta con l’omaggio al grande Domenico Modugno, più che un omaggio un’ “imitazione” di Beppe Fiorello, ormai candidato a interpretare chiunque, con il risultato di essere una ‘caricatura’ parecchio imbarazzante. Ci siamo chiesti perché non ricordare indimenticabili artisti, come Modugno, con un semplice filmato che li veda protagonisti.

Un po’ come imbarazzanti sono state le reinterpretazioni dei ‘classici’ del Festival che hanno fatto la storia della canzone italiana: i Modà con “Io che non vivo” di Pino Donaggio, Chiara (chi???) che intona “Almeno tu nell’Universo”, le ‘talent-De Filippi’ Annalisa ed Emma che quasi sembra si prendano a schiaffi a colpi di ugola massacrando la raffinatissima “Per Elisa” di Battiato che consacrò l’elegante Carla Bissi, in arte Alice, per non parlare del bravo, ‘birignao’ a parte, Marco Mengoni che però addirittura sceglie di reinterpretare, con prevedibile scarso esito, “Ciao Amore, ciao” del mai troppo compianto Luigi Tenco.

Ma veniamo alla conduzione. Se una donna di bell’aspetto avesse detto tutte quelle parolacce la avrebbero come minimo definita ‘scurrile’, volgare, pecoreccia. Se lo avesse fatto un uomo, sarebbe caduta la Torre di Pisa a causa delle polemiche suscitate dai tanti doppi sensi a sfondo sessuale. Intendiamoci, non siamo qui ad elogiare il vecchio duo: la mora e la bionda, tanto caro a Pippo Baudo, o, peggio, a scrivere che fosse meglio avere sul palco una donna considerata dalla massa ‘bella’(anche perché sul concetto di ‘bellezza’ chi scrive ha parametri ‘platonici’, ndr), discinta e che mostrasse una parte del proprio corpo, come accadde lo scorso anno con Belen, ma ci piaceva ricordare le battute e l’ironia e quindi l’eleganza della parola di Geppy Cucciari, presente in ben due serate dello scorso Festival di Sanremo e non per forza beatificare la “bambina petulante”, Luciana Littizzetto, con la voce più stridula, sgradevole e cacofonica, ergo anti-televisiva, che sia mai apparsa sul palco del Teatro Ariston.

Inoltre, se si fosse voluto scardinare lo stereotipo della ‘bella e stupida’ ci domandiamo perché portare sul palco, come controffensiva in carenza di belle donne, la top model Bar Rafaeli e Bianca Balti, della quale non si capisce l’attuale professione, senza contare le reiterate, quanto inutili, battute di Fabio Fazio sulla beltà femminile e l’invito a cena a Laura Chiatti. Soprattutto, per una volta, si sarebbe potuto optare per una donna bella, intelligente e magari talentuosa, invece di pagare cinquecentomila euro di cachet alla Balti(attenzione, ne aveva chiesti ottocentomila), che rideva nervosamente esponendo al pubblico ludibrio la sua dentatura giallognola, nel suo abito taglia 38-40 e senza un filo di trucco (e si vedeva, ndr).
Va evidenziato che l’assioma che è prevalso in questi giorni, vale a dire che le donne belle siano tutte sceme e incapaci, bambole prive di talento, e secondo il quale essere brutte, al contrario, denoterebbe intelligenza, talento e ironia, ci pare parecchio riduttivo. Un esempio su tutti in questo Festival: Simona Molinari, ragazza di grande talento e formazione musicale, dotata di physique du role esibito con disinvoltura in minidress aderente e tacchi alti, ma non per questo passibile di incapacità o di ‘ocaggine’.

Che le donne debbano ancora raggiungere i posti che spettano loro, è evidente e certo non sarà Luciana Littizzetto ad emancipare la donna italiana dal conformismo e dalle brutture di certo sciovinismo maschile. Pensiamo però a Franca Valeri, che non solo è stata una delle più grandi attrici brillanti del nostro tempo, ma anche autrice dei propri testi, colta e raffinata conoscitrice di teatro e musica lirica. Autrice, negli anni in cui il cinema italiano dava risalto alle attrici ‘maggiorate’, di un film delizioso come “Il segno di Venere”, del quale fu anche protagonista assieme a Vittorio De Sica, Raf Vallone, Alberto Sordi, Peppino De Filippo e una emergente e bionda Sofia Loren. Eppure, Franca Valeri, non ha ricevuto ‘sante beatificazioni’, come pure ci si è dimenticati di un’altra grande attrice dall’acume e dallo spirito corrosivo: la compianta Bice Valori. Un pizzico in più meritavano altre due artiste che dall’umorismo hanno saputo trarre il meglio: Anna Marchesini e l’istrionica Anna Mazzamauro, ricordata sempre e soltanto per la sua , seppur magnifica, signorina Silvani in Fantozzi, ma non abbastanza menzionata per essere una delle più talentuose attrici brillanti del teatro italiano. Se poi si vuole tornare ai giorni nostri, come non ricordare la poliedrica e, perché no, bella Paola Cortellesi, attrice, cantante, conduttrice.

Perché la Littizzetto? perché è facile ridere alle battute da osteria, l’italiano medio si sente rassicurato dalla mediocrità e si immedesima. Ma il vero artista non vola così basso.

Beninteso, va dato merito a questo Festival di aver valorizzato le canzoni, di aver erudito la grande platea ad artisti di grande livello: Antony and the Johnsons, Caetano Veloso, Stefano Bollani e aver portato in tv autori quali Michele Serra e Mauro Pagani come direttore musicale. Fabio Fazio ha saputo miscelare bene la cultura alta e quella bassa e divulgare ciò che di ‘colto’ sovente non appare nelle trasmissioni televisive in prima serata.

Ciononostante, ha vinto la cultura ‘popolare’, che non è una parolaccia, ma lo spirito comune che ha premiato uno dei tanti ‘figli di Morgan’: Marco Mengoni, carismatico interprete di una canzone melodica non memorabile, ma sicuramente radiofonica. Un altro ‘figlio di Morgan’ ha primeggiato nella sezione giovani: Antonio Maggio, bella voce, canzone gradevole e orecchiabile, eccellente presenza scenica ed ex vincitore della prima edizione di X-Factor, era uno dei componenti degli Aram Quartet.

Le sorprese piacevoli non sono mancate. Un irriverente esercizio di stile, quello di Elio e le Storie Tese, che sovverte la banalità del Festival e che dimostra quanto degli eccellenti musicisti dotati anche di estro creativo possano ancora divertirci con una ‘canzone intelligente’, per dirla con Cochi e Renato.
In ultimo, ricordiamo come in questa edizione siano mancati gli ‘interpreti’, coloro che un tempo erano capaci di emozionarci, ma quelli sono assenti da decenni dalla canzone italiana. Sarà mica colpa dei talent show?

A chi snobba il festival di Sanremo e parla di ‘canzonette’, rispondiamo che non sappiamo se queste lo siano o meno, ma ricordiamo che la serata finale è stata aperta dal direttore d’orchestra Daniel Harding, che artisti come Peter Gabriel e Paul McCartney hanno calcato quel palco e che le canzonette stanno solo nelle orecchie di coloro che le ascoltano. Musica ‘colta’, quella sinfonica, e musica ‘bassa’, quella ‘pop’? Provate un po’ a dirlo delle ‘canzonette’ di Luigi Tenco o di Leonard Cohen. Ca va sans dire.

Complessivamente un buon Festival, ma per favore non parlateci ancora dell’intelligenza, del talento e del carisma di Luciana Littizzetto!

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