Religione

I Santi, compimento della promessa di Dio

Il discorso “della montagna”, il primo dei cinque grandi discorsi che scandiscono il vangelo di Matteo, inizia con le “beatitudini” (Mt. 5, 1-12). Gesù sale sul monte, è il nuovo Mosè che comunica la nuova legge. Attorno a lui si riuniscono i discepoli e la folla, che ricevono un insegnamento che dovrà trasformarsi in vita.

L’immagine del discepolo di Cristo

“Beati i poveri in spirito” (v. 3). Il termine greco (ptochòs) indica il mendicante, la persona che vive nell’indigenza. Con la precisazione “in spirito”, Gesù rende chiaro che sta parlando di una condizione spirituale e non di povertà materiale. Il povero in spirito è colui che ripone la propria speranza nel Signore e si affida a lui. E’ questo il povero al quale l’evangelista fa riferimento. “Perché di essi è il Regno dei cieli”: il verbo è al presente, quindi c’è già oggi per il povero in spirito un compimento del Regno; tuttavia la sua piena realizzazione rimane una promessa fondata sulla parola di Gesù, e quindi è oggetto di speranza.

“Beati quelli che sono nel pianto…” (v. 4). Il messia non è solo inviato a portare il lieto annuncio ai poveri, ma anche a consolare gli afflitti (Is. 61,1). L’afflitto è il discepolo che soffre per i propri peccati e per le avversità della vita. La beatitudine annuncia che Dio interverrà (“saranno consolati” ) e farà venir meno il motivo dell’afflizione. Il verbo è un futuro passivo, si tratta di una espressione semita che sta per “Dio li consolerà”.

Beati i miti…” (v. 5). Il mite è la persona che imitando Gesù sa dominare i propri impulsi, i propri istinti; è colui che anche in situazione di contrasto rispetta la persona dell’altro e non reagisce ricorrendo alla violenza. Al mite è promesso il possesso della terra, cioè la vita eterna nel regno dei cieli, la salvezza.

“Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia…” (v. 6). La fame e la sete indicano il desiderio forte di cibo e acqua, cose indispensabili alla vita. La giustizia è necessaria alla persona quanto il cibo e l’acqua. Il termine “giustizia” non va inteso in senso giuridico (forense): nella Bibbia essere “giusti”, vivere la “giustizia” significa adempiere totalmente e senza compromessi la volontà di Dio. Gli affamati e assetati di giustizia sono coloro che rispettano la legge di Dio, coloro che si impegnano a vivere in conformità alla sua volontà. Questo loro impegno troverà compimento nel banchetto messianico che Dio offrirà loro.

Queste prime quattro beatitudini definiscono l’atteggiamento fondamentale di colui che vuol essere vero discepolo di Cristo, che è il vero “povero, afflitto, mite, affamato di giustizia”. Al discepolo non resta che riconoscere e fare le sue scelte.

Dal modello alla realtà di una vita rinnovata

Le seconde quattro beatitudini, invece, riguardano la vita relazionale e applicano a essa la vita nuova che Gesù ha annunciato e vissuto.

“Beati i misericordiosi…” (v. 7). La quinta beatitudine è caratterizzata da una letterale corrispondenza tra agire umano e ricompensa divina. La misericordia appare come una delle caratteristiche di Dio. Per il discepolo l’apertura alla misericordia nasce dalla consapevolezza della situazione in cui si trova di fronte a Dio. L’uomo ha continuamente bisogno della misericordia di Dio, perché peccatore, bisognoso di aiuto e di comprensione. Non si tratta però solo come prontezza al perdono, ma anche nel senso di opera di misericordia, cioè di prestare aiuto a chi è nel bisogno. Ebbene l’uomo e la donna otterranno misericordia, saranno aiutati da Dio, se saranno misericordiosi, pronti ad aiutare il loro prossimo.

Beati i puri di cuore…” (v. 8). La sesta beatitudine parla dei puri di cuore. Il cuore è la sede dei sentimenti, dei desideri, dei pensieri e delle azioni. E’ dal cuore dell’uomo e della donna che escono i pensieri cattivi e, quindi, che sfociano le cattive azioni. Il puro di cuore allora è colui che è sincero nella sua condotta, che non pensa in un modo e agisce in un altro, colui che non coltiva cattive intenzioni nei confronti del prossimo.

“Beati gli operatori di pace…” (v. 9). Gli operatori di pace sono quanti nella famiglia, nella comunità si impegnano a coltivare sentimenti di pace, sono concilianti, comprensivi, pazienti. La pace è dono di Dio e quindi chi si rende portatore di pace partecipa della peculiarità di Dio, condivide la sua azione pacificatrice. Dio chiamerà costoro “figli di Dio”, perché questo modo di essere li rende simili a lui.

Il tema dell’ottava beatitudine (v. 10), prolungato e commentato nella nona (vv. 11-12), riguarda i perseguitati a causa della giustizia. La persecuzione diviene il segno che si è dalla parte di Cristo, in linea con tutti i profeti. Gesù fin dall’inizio ha prospettato ai discepoli che il compito che sono chiamati a svolgere è difficile e comporterà l’incomprensione e la persecuzione.

Le qualità presentate nelle “beatitudini” non vanno considerate separatamente, ma considerate nel loro insieme: è la stessa persona che è descritta in tutte le beatitudini, anche se in differenti aspetti del suo carattere; coloro che sono poveri in spirito, afflitti, miti, giusti, sono anche misericordiosi, puri di cuore, portatori di pace e vittime di persecuzione. Le beatitudini hanno come modello Gesù stesso. E’ lui per eccellenza il povero, l’afflitto, il mite, colui che attua la giustizia, il misericordioso, il puro di cuore, il messia di pace, il perseguitato. E’ infine evidente la prospettiva futura (escatologica): si tratta di felicità promessa, di felicità che solo “alla fine” sarà completa. Questo però non significa rimandare la salvezza a un aldilà che non ha nessun rapporto con la nostra storia di oggi: la salvezza dipende dall’impegno di oggi, è un invito a mobilitarsi con tutte le forze per diventare destinatari e fruitori di questa “buona notizia” (vangelo), per essere “beati, felici”

(santi).                                                                                                                 

Il Capocordata.

Bibliografia consultata: Boscolo, 2020.

Redazione

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