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Il Battesimo di Gesù

Il battesimo di Gesù nel fiume Giordano per mano del precursore chiude il tempo di Natale e apre il tempo ordinario. L’episodio del Battesimo viene riportato da tutti i sinottici (Matteo, Marco e Luca): vedremo gli elementi comuni ai tre evangelisti e analizzeremo contemporaneamente la peculiare prospettiva del Vangelo di Marco (1, 6b-11).

La dichiarazione di Giovanni Battista

Giovanni battista predicava e battezzava e proclamava, secondo la fonte arcaica di Matteo e Luca, l’imminenza del giudizio escatologico (finale) e la necessità della penitenza o conversione. Questa si concretizzava nel ricevere il battesimo immergendosi nell’acqua del Giordano in presenza di Giovanni. In questo contesto battesimale, il precursore fa intravedere il messia veniente, la sua eminente dignità, la sua particolare attività battesimale. E’ più forte del Battista perché dispone dello Spirito Santo, della potenza di Dio stesso.

Il suo battesimo supererà quello di Giovanni come l’opera di Dio supera un’attività umana. Colui che viene eserciterà un’attività in qualche modo paragonabile a quella del precursore: come il battesimo di Giovanni purifica i corpi ed elimina le impurità materiali, allo stesso modo il messia verrà a purificare il popolo di Dio ed eliminare le impurità morali. Si oppone rito a rito: rito antico, preparatorio, purificatore, e rito nuovo, definitivo, santificante. In realtà, parlando qui del battesimo nello Spirito senza alcun’altra precisazione, l’evangelista pensa al battesimo cristiano, rito sacramentale ben noto ai suoi lettori. Ciò che egli fa promettere dal precursore è dunque un’attività del messia, il quale effonderà lo Spirito nel battesimo cristiano, realizzando in maniera molto concreta le antiche profezie relative all’effusione escatologica dello Spirito di santità. I membri della comunità cristiana hanno ricevuto questo Spirito nel battesimo: il battesimo che Gesù riceverà più avanti è perciò origine e modello di quello cristiano.

Il battesimo di Gesù

In origine il racconto descriveva la scena in due tempi: il gesto di Gesù che si accosta al precursore e riceve da lui il rito battesimale; la teofania (apparizione di Dio) che comprende: la discesa dello Spirito su Gesù e le parole indirizzate dal Padre al Figlio suo.

“Gesù venne da Nazareth di Galilea e si fece battezzare nel Giordano da Giovanni” (v. 9). Il fatto è registrato in maniera precisa, ma con estrema concisione; non vi sarà altro commento al battesimo di Gesù che il racconto della teofania. La funzione battesimale di Giovanni raggiunge nel battesimo di Gesù il suo vero fine. Così veniamo subito a sapere che Gesù è l’uomo che proviene da Nazareth di Galilea delle genti, terra pagana. L’indicazione temporale indeterminata rende più solenne la sua entrata in scena.

La teofania

“E subito” (v. 10). Sebbene frequente in Marco, questa saldatura deve essere a lui anteriore: è evidente che si è voluto legare subito alla recezione del battesimo da parte di Gesù la teofania, che ne dà il significato nel disegno di Dio, cioè nella storia della salvezza. Gli avvenimenti che seguono toccano Gesù soltanto come visione e ascolto, mentre gli altri vangeli fanno entrare negli avvenimenti anche il Battezzatore o il popolo. “E vide”: Gesù stesso è testimone della venuta dello Spirito; è per lui che ha luogo la teofania. Gesù vede “squarciarsi” i cieli: notiamo lo stile di Marco nell’espressione immaginosa e colorita. L’aprirsi del cielo fa sì che lo Spirito esca e la voce si faccia sentire. E’ possibile tuttavia che il termine contenga un’allusione a Isaia 63, 19: una lunga e vibrante preghiera a Dio, Padre di Israele, che viene supplicato di infrangere un lungo silenzio e di discendere dai cieli verso il suo popolo per salvarlo. Analogamente, nel battesimo di Gesù, Dio pone termine ad un lungo silenzio, squarcia finalmente i cieli, apre l’era della grazia definitiva con l’invio del suo Spirito e con l’espressione della sua compiacenza nei confronti del suo Figlio diletto presente in mezzo al suo popolo. La realtà della venuta dello Spirito viene descritta col paragone di una colomba, volendo indicare qui soltanto la plasticità dell’avvenimento. Lo Spirito scende su Gesù: egli è l’unico detentore dello Spirito.

“E vi fu una voce”: la narrazione rassomiglia alla forma di recitazione: le frasi si susseguono brevi, rapide, solo giustapposte, senza alcuna ricerca stilistica. L’effetto ottenuto è ancora più efficace. Alla visione si aggiunge l’ascolto: viene rivolta a Gesù una voce dal cielo, Dio parla direttamente a suo Figlio. “Tu sei il mio Figlio”: l’intimità di questa figliazione divina ci è svelata dall’evangelista Marco nel tono della preghiera del Cristo a Dio: “Abba, Padre” (14, 36), formula di affetto e tenerezza filiale. Questa scena è inaugurale e di investitura messianica: consacrazione e missione per l’opera della salvezza, nella potenza dello Spirito Santo e nella più stretta intimità filiale con Dio. Nella scena della presentazione l’evangelista ha voluto perseguire l’intento più ampio di stabilire che Gesù, nel momento che riceve lo Spirito e il battesimo, è il modello per il battesimo cristiano. E’ probabile perciò una delimitazione non nel senso che Giovanni deve essere messo nell’ombra, ma nel senso che deve apparire chiaramente che il battesimo cristiano ha sostituito quello di Giovanni ed è quello valido. Nello stesso tempo vediamo per la prima volta il mistero della persona di Gesù, la prima illustrazione del titolo del Vangelo di Marco: Inizio del Vangelo di Gesù, Figlio di Dio!                                                                                                

Bibliografia consultata: Jacquemin, 1969; Gnilka, 2007.

Redazione

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