Il battesimo di Gesù

Lo Spirito Santo e il Padre

In origine il racconto del Battesimo di Gesù sul Giordano descriveva la scena semplicemente in due tempi: il gesto di Gesù che si accosta al precursore e riceve da lui il rito battesimale (v. 13); l’apparizione di Dio (teofania): la discesa dello Spirito su Gesù (v. 16) e le parole indirizzate dal Padre al Figlio suo (v. 17). Stando al dire dei tre evangelisti, Matteo, Marco e Luca, la predicazione di Giovanni Battista aveva una vasta risonanza. Numerosi erano i giudei che si presentavano per ricevere il suo battesimo. Anche Gesù viene a ricevere questo rito che preannunciava il giudizio tremendo che verrà ad effettuare in tutta la sua divina potenza il messia imminente. Gesù viene dalla Galilea, ove ha vissuto nell’oscurità sino al momento attuale. Ora Gesù si reca da Giovanni per farsi battezzare da lui: Matteo sottolinea l’intenzione di Gesù perché essa susciterà la protesta del precursore, alla quale seguirà la risposta del Cristo. Più tardi la pietà cristiana amerà considerare in questo gesto del salvatore che si accosta al battesimo di penitenza di Giovanni un atto di solidarietà di Gesù con i peccatori.

Il dialogo(vv. 14-15)
Matteo sembra perseguire un duplice scopo inserendo questo dialogo: rispondere a talune rimostranze provenienti dai discepoli del Battista della seconda generazione, e cioè che Gesù è innocente e che è superiore allo stesso Giovanni. Inoltre, l’evangelista vuole introdurre l’annunzio del Battesimo cristiano che realizza, adempie, attraverso Cristo, i valori religiosi giudaici. L’adempiersi delle Scritture significa la loro realizzazione ad un piano superiore, significa corrispondere ad un disegno divino. Gesù riconosce nel Battesimo di Giovanni una norma pratica di santità. Ma ora il rito giovanneo deve essere ripreso ed elevato. Il battesimo d’acqua deve divenire nello stesso tempo battesimo di Spirito, punto di partenza del Battesimo cristiano. Giovanni, battezzando Gesù, ubbidisce alla sua ingiunzione, sottolineando la superiorità di Gesù e presentando anticipatamente il senso della sua opera. Così Matteo trasforma l’incontro di Gesù col Battista in una scena di riconoscimento, nella quale questi riconosce in Gesù colui che egli aveva annunziato. Almeno la sua buona disposizione a ricevere il battesimo da Gesù lo collega intimamente alla comunità cristiana. Il Battista appare quasi come un membro della comunità cristiana prima della nascita della comunità stessa.

La Teofania
L’aprirsi dei cieli, la discesa dello Spirito Santo sotto una forma accessibile ai sensi, la visione per parte di Gesù, il ricorso ad una terminologia di preferenza riservata alle comunicazioni celesti, debbono provenire dalla narrazione primitiva dell’episodio. Nella forma originale della narrazione, questa rivelazione era rivolta a Gesù personalmente: è lui che vede i cieli aprirsi e discendere lo Spirito. Questo fatto vuole tuttavia mostrare niente di meno che una radicale trasformazione del rapporto degli uomini con Dio, concessa tramite Gesù.

La venuta dello Spirito, per colui che si nutre della Scrittura, significa la presenza di Dio stesso che invade la sua maniera straordinaria un eletto, riempiendolo di forza, di sapienza, di una superiore pienezza di doni, in vista di una missione d’eccezionale importanza. Gesù vede discendere su di sé l’influsso e il soccorso onnipotente di Dio, che l’invia ora a proclamare la buona novella e a manifestare i segni della salvezza. Egli riceve ora solennemente la sua missione, la sua investitura messianica.
Le parole celesti, l’oracolo venuto dal cielo, riunisce in uno tre testi dell’Antico Testamento. Il primo testo si riferisce al canto del “Servo di Dio”, che indica come Gesù dovrà essere il messia, cioè alla maniera del servo, facendo convergere l’attenzione sull’affetto, sulla compiacenza che Dio garantisce al suo servo, mentre gli affida questo compito. Un secondo testo proviene dal Salmo 2, dove Dio dichiara di considerare ormai il messia come suo proprio figlio, esprimendo così l’affetto che gli porta, l’influsso personale che estende su di lui e l’assistenza che gli garantisce. Qui il titolo di figlio si sostituisce a quello di servo: d’ora in poi esso esprime quanto meno una relazione unica di appartenenza e di intimità tra Gesù e Dio suo Padre. Un terzo testo è Genesi 22 dove la voce di Dio pronuncia l’appellativo di “figlio diletto”: Dio ha domandato ad Abramo di sacrificargli il suo figlio, il suo unico, carissimo figlio.

Dunque l’episodio del Battesimo si deve intendere come una scena di investitura o di consacrazione messianica. In essa l’accento preme sulla presenza, intima e possente, di Dio in Gesù per questa missione: Gesù è riempito dello Spirito, è Figlio di Dio ad un titolo privilegiato; nell’opera della salvezza che deve ora intraprendere, è segnato dalla stretta relazione che lo unisce a Dio.

Bibliografia consultata: Jacquemin, 1969; Gnilka, 1990.

Lascia un commento