Il cieco Bartimeo è guarito dalla sua fede

di Il capocordata

In questo testo (Mc. 10, 46-52) dove l’evangelista narra la guarigione del cieco Bartimeo, non vi è una parola né un gesto taumaturgico. Tale omissione non è forse voluta dall’evangelista per meglio evidenziare un miracolo di altro ordine, di cui ci rivelerà l’elemento specifico nel linguaggio che gli è proprio? Cercheremo di rispondere a questa domanda.

“Sedeva lungo la via” (v. 46). Il tema della strada, con tutto ciò che ha attinenza con esso (viaggio, sosta), è molto importante nel brano che stiamo analizzando. Lo avvertiamo fin dalle prime parole: “E arrivano”. Questo verbo al presente non ha alcun soggetto esplicito: possiamo affermare che esso è alla ricerca di un soggetto e di un tempo che facciano al suo caso. “E arrivano a Gerico”: per un istante possiamo illuderci che la città di Gerico assolva a questo ruolo, ma ben presto essa si rivela come la semplice segnalazione di un viaggio da continuare (“mentre Gesù partiva da Gerico”). Nell’ultima frase del racconto: “e prese a seguirlo per la strada”, la forma verbale usata sta ad indicare la continuità. Continuità nella mobilità, poiché si tratta di camminare per la strada, ma anche nella prossimità, poiché si cammina dietro qualcuno o lo si segue. L’idea chiave di questa formula è la presenza definitiva “per la strada”, o meglio “in viaggio”.

Orbene, tale condizione è agli antipodi della condizione iniziale di Bartimeo: “sedeva lungo la strada” (v. 46). Si tratta qui di un elemento di fissità, anch’esso considerato definitivo. Il tempo del verbo, l’imperfetto, lo indica chiaramente. Inoltre, gli accenni congiunti alla mendicità e alla cecità non fanno che accentuare questo dato: la mendicità connota qui la fissità, e la cecità comporta la lontananza; un cieco non è forse tanto più lontano dalla realtà quanto più è ad essa fisicamente più vicino? L’esclusione dalla strada caratterizza la condizione di Bartimeo all’inizio del racconto. Nella sua qualità di cieco, egli è definitivamente escluso dall’itinerario normale di ogni uomo che vede. In quanto mendicante, si colloca in questo stato di esclusione, nella fissità, per poter vivere in lontananza.

“Si fermò” (v. 49): Cristo interrompe il suo viaggio. Così facendo, si stacca da quanti erano con lui sulla stessa strada, spezza quel movimento di cui costituiva il dinamismo primo. Questa rottura provoca un effetto inatteso. Rimaniamo stupiti nel vedere il cieco gettare il mantello, balzare in piedi e venire a Gesù (v. 50). I gesti si susseguono come se Bartimeo non fosse più cieco! Il verbo “balzare in piedi” lo dice con sufficiente chiarezza. Il fatto di gettar via il mantello e la chiamata di Gesù ripresa poi dalla folla indicano la fine della fissità. Ciò che importa è la maniera in cui il cieco acquista improvvisamente la mobilità, mentre in precedenza era condannato, per vivere, a star sempre seduto lungo la strada. E il verbo iniziale (“e arrivano”) ha trovato il suo soggetto: mentre in un primo tempo esso era negato a Bartimeo, ora gli viene attribuito con un carattere assoluto, messo in evidenza dalla forma del passato remoto, e lo conduce fino a Gesù e, quindi, per la strada.

Il “grido” e il “balzo” della fede

In questo episodio, la folla interviene a più riprese. In un primo momento, segnala la presenza di Gesù Nazareno. Bartimeo riceve questa informazione con l’udito, ma che lo fa sentire già prossimo a Gesù, perché con un grido (“cominciò a gridare” v. 47) Bartimeo presenta Gesù come Figlio di Davide, cioè come Messia di Israele: egli che era cieco, cioè lontano da tutti. La folla, in un secondo momento, rimprovera il cieco per le sue grida, ma egli grida più forte la sua vicinanza al “Figlio di David”. Ma ecco sopraggiungere la frattura evidenziata dal fatto che Gesù si arresta (“si fermò”): frattura decisiva che, come sappiamo, conferirà al cieco mendicante la mobilità e gli farà raggiungere uno stato di prossimità.

Il termine “Rabbuni” (v. 51), che esprime al tempo stesso la venerazione e la confidenza, consacra tale prossimità. L’attimo di sosta di Gesù che consente a Gesù stesso e al cieco di raggiungersi, provoca due consegne parallele e complementari: una implica la mobilità e la prossimità improvvisa (“Chiamatelo” e “balzò in piedi e venne da Gesù” v. 49 e 50); l’altra (“Và, la tua fede ti ha salvato” v. 52) permette la definitiva acquisizione di tale prossimità e la sua conferma in una mobilità indispensabile perché essa possa sussistere. Tale consegna si risolve quindi nel dono improvviso della vista (“E subito vide” v. 52): la vista crea la possibilità di essere vicini pur rimanendo a distanza, dà la sicurezza nella mobilità.

La vista riacquistata è il segno del dono della fede (“la tua fede ti ha salvato” v. 52), visione a distanza, capacità ed esigenza di mettersi in cammino. Le cecità imponeva la lontananza da Gesù, per questo essa è il simbolo naturale della mancanza di fede: la folla sa che Gesù Nazareno è presente, ma non comprende che si tratta del “Figlio di David”. L’apertura degli occhi permette a Bartimeo di seguire Gesù sulla sua strada: “E subito vide nuovamente e lo seguì per la strada” v. 52.

La figura di Bartimeo, cieco e mendicante, fermo sulla strada, condannato ad elemosinare ai passanti un po’ della loro bontà è simbolo di tutti noi: ciechi, perché non vogliamo vedere la verità che è davanti e vicino a noi mediante i testimoni, anche se rari, della carità di Cristo; mendicanti, anche se non lo vogliamo ammettere, di un po’ d’amore disinteressato e genuino; fermi e decisi a non muoverci, a non responsabilizzarci, capaci solo di piangere sulla nostra infelicità. E’ necessario fare il salto della fede di Bartimeo, rinunciare alle nostre sicurezze umane e gridare forte la nostra fede: “Gesù, Figlio di David, abbi pietà di me”! Apparentemente è un comportamento facile, proviamo a farlo talvolta: chissà che anche noi riacquistiamo la vista e decidiamo di seguire il Maestro?                                                                                                                                                                   

Bibliografia consultata: Paul, 1972.

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