Il volto e la veste di Cristo trasfigurato

Non è casuale ciò che accade sul monte Tabor della Trasfigurazione: Gesù ha appena annunciato la sofferenza terribile che dovrà affrontare

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Il Capocordata

Scena prima: la preghiera di Gesù

Dopo il primo insegnamento sulla sua passione-morte e risurrezione, Gesù sale su di un monte a pregare, insieme ai tre discepoli più fidati. Così ha inizio il racconto della trasfigurazione di Luca (9, 28-36). Il monte insieme alla preghiera di Gesù, in Luca, sembrano suggerire che la visione scaturisca dall’intima relazione tra Gesù e il Padre: “Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante” (v. 29).

Questa preghiera di Gesù rimanda a quella che precede il primo annuncio della passione (9, 18) e specialmente alla preghiera in agonia sul monte degli Ulivi: dal monte di Galilea a quello di Gerusalemme, passando attraverso i tre annunci della passione, Gesù percorre il cammino che lo conduce a compiere la volontà del Padre e, facendo questo, realizza il compimento delle Scritture.

Seconda scena: l’esodo e la gloria

Accanto a Gesù compaiono due nuovi personaggi, Mosè ed Elia, mentre, fra i discepoli, Pietro viene menzionato a parte. Ma soprattutto qui troviamo la “gloria” quasi come un nuovo personaggio che viene a occupare il centro della scena: Mosè ed Elia sono “apparsi nella gloria” (v. 31) e i discepoli al loro risveglio possono vedere “la sua gloria” (v. 32). Il motivo della “gloria” contiene un forte rimando all’Antico Testamento, dove Mosè ed Elia rappresentano due figure chiave della rivelazione a Israele.

In particolare, la gloria di Dio si manifesta nel contesto dell’alleanza del Sinai, dove gloria-nube-monte sono, come qui, espressioni della trascendenza di Dio manifestata all’uomo. Anche la menzione dell’esodo, “parlavano del suo esodo, che stava per compiere a Gerusalemme” (v. 31), contiene evidenti allusioni alla prima alleanza, ma con una differenza sostanziale: qui il riferimento è all’ “uscire” di Gesù dalla vita terrena, che avverrà in Gerusalemme.

In sintesi, è nella vicenda storica di Gesù di Nazaret che si compiono le Scritture profetiche di Israele: in lui è compiuta definitivamente l’alleanza del Sinai, poiché la gloria è visibile nella sua persona trasfigurata, ancor prima della risurrezione e ascensione al cielo, in virtù della sua relazione con il Padre. Egli è la vera pasqua, poiché è nella sua morte di croce che si compie definitivamente l’alleanza di Dio con Israele e con tutta l’umanità.

Scena terza: la tentazione di Pietro

Qui il protagonista è Pietro. Nell’allontanarsi delle due figure gloriose, egli è soggetto di un fraintendimento relativo al senso dell’esperienza appena vissuta, inaugurando con questo episodio una serie negativa riguardo alla comprensione del ministero e dell’identità di Gesù: il triplice rinnegamento e lo stupore di fronte alla tomba vuota sono indicativi del ruolo svolto da Pietro nella seconda parte del Vangelo. Soltanto dopo la Pentecoste, con l’effusione dello Spirito Santo, Pietro diventerà a pieno titolo il modello dell’apostolo testimone della risurrezione.

Qui, egli vorrebbe costruire tre tende per restare in contemplazione della gloria: “Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia” (v. 33). Pietro non ha compreso che la gloria del Cristo è relativa al suo “esodo in Gerusalemme”, ovvero all’obbedienza alla volontà del Padre, che si manifesterà pienamente nella sua morte di croce.

Nel Vangelo di Luca la crisi di Pietro comincia proprio qui, nel momento della visione di Gesù trasfigurato, che Pietro interpreta come compimento definitivo nella linea dell’attesa di un Messia glorioso e non come prefigurazione del suo innalzamento sulla croce: infatti, “Egli non sapeva quello che diceva” (v. 33).

Scena quarta: la voce e la nube

E’ la scena dove l’insistenza sulla nube può essere compresa in riferimento all’episodio del Sinai nel Vecchio Testamento dove la nube rivela la gloria di Dio. La voce che proviene dalla nube è la voce stessa di Dio, poiché è giunta la pienezza dei tempi, il tempo favorevole della salvezza. La Parola viene a dare conferma dei segni: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!” (v. 35). Egli è il Figlio, a conferma della relazione unica tra Gesù e il Padre, come evidenziato a proposito della preghiera; è l’eletto, ovvero colui che è stato inviato come mediatore tra Dio e gli uomini.

Ascoltare Gesù significa perciò entrare in una relazione con Dio non dettata dalle proprie aspettative, ma modellata sulla vicenda di incarnazione, morte e risurrezione del Cristo. Pietro, i discepoli e il lettore sono chiamati ad ascoltare e ad accogliere ciò di cui Gesù parlava con Mosè ed Elia, ovvero l’annuncio della sua passione e contemporaneamente a guardare, oltre e attraverso l’umanità dei tre discepoli, il compimento del disegno del Padre.

Non è casuale ciò che accade sul monte Tabor, il monte della Trasfigurazione: Gesù ha appena annunciato la sofferenza terribile che dovrà affrontare a Gerusalemme. C’è una manifestazione che costituisce un chiaro anticipo della Pasqua, di quella gloria di Gesù Risorto. Ai tre discepoli è offerta la possibilità di vedere “questa gloria”. La manifestazione non viene donata perché ci si fermi a essa, ma perché si affronti fiduciosi il cammino della croce: il Crocifisso, infatti, non è il perdente, lo sconfitto, il vinto.

Ascoltare la Parola di Gesù è ciò che i discepoli sono invitati a fare per non venir meno nei nostri momenti di passione: è a quella Parola che gli apostoli dovranno fare riferimento per affrontare vittoriosi la lotta che li attende. E’ una parola capace di destare fiducia, che genera speranza, che tiene desto l’amore, un amore pronto a sacrificarsi, un amore disposto a perdere la vita per ritrovarla totalmente cambiata dalla bontà di Dio.

Il Capocordata.

Bibliografia consultata: Mino, 2022; Laurita, 2022.