L’arte di intrattenere il cuore. Intervista a Stefano Dragone

Stefano Dragone racconta la sua carriera in bilico tra emozione e magia

Un barbone, come un gatto randagio, rovista tra i cassonetti alla ricerca di avanzi per sfamarsi e vecchi stracci da indossare nelle fredde notti romane. Una bambina piange. Le lacrime rigano il volto riflesso nel vuoto di un treno diretto verso l’inumanità, un treno che fischia la parola Auschwitz. Incastonanti nella musicalità di una metrica fresca e travolgente, questi i temi trattati da Stefano Dragone, illusionista, mentalista, comico e attore romano. Le opere, come emozioni messe a nudo su un palco, parlano dell’uomo e dell’importanza dei sentimenti. Dragone racconta la sua esperienza nell'arte del teatro in un’intervista.

Quando ha iniziato a recitare?
Se devo dire la verità, ho iniziato ha recitare a scuola. Fingevo di sapere tutto, prendendo voti anche alti, grazie al mio autocontrollo, nonostante in classe ci fossero compagni che ne sapevano più di me. Quindi ho iniziato a praticare la recitazione fuori dal palco e da molto piccolo. All’età i quattordici anni, mi sono interessato ai giochi di prestigio e ho coltivato questa passione a lungo. Dopo un incidente, che ha avuto un grosso impatto su di me, ho capito che i giochi di magia erano limitativi, divertivo tutti ma non trasmettevo emozioni, così ho iniziato a scrivere commedie.

Lo spettacolo Illusionisti un paio di mesi fa ha riscosso successo e le recensioni ne hanno parlato molto bene. Cosa ha rappresentato però per Stefano Dragone?
Illusionisti è un contenitore di storie. Attori e prestigiatori recitano commedie ambientate in mondi fantastici. Uno spettacolo che colpisce il cuore e la mente. Oltre a parlare di illusionismo, racconta della vita di tutti i giorni adoperando una comicità pulita che si amalgama con la drammaticità più profonda. Nello spettacolo racconto la storia di una bambina ebrea di sette anni, una storia che ho molto a cuore. Sono cresciuto in una famiglia cattolica  che il 16 ottobre del 1943 ha visto la piccola piangere in un treno diretto ad Auschwitz. E’ un mix di comicità e drammaticità, quello che mi piace definire un perfetto innesto di emozioni contagiose. Per il pubblico sono un Intrattenitore del Cuore. E’ un onore. I miei spettacoli trattano temi delicati come la vita che passa, l’amicizia, la Shoa, la vita da clochard. I miei spettacoli sono un sentiero che porta il pubblico verso emozioni forti. Il mio fare teatro è una secchiata d’acqua gelida che arriva alla gente e la colpisce, svegliandola. Le mie commedie sono emozioni messe in scena. Per me rappresentano tutto.

Qual è il suo sogno nel cassetto?
Il mio sogno nel cassetto è riuscire a proporre la mia arte ad un pubblico più vasto. Vorrei che i messaggi che lancio arrivino al cuore di tante persone. Sogno vedere le mie opere trasformarsi in emozioni contagiose. Un altro sogno che coltivo è quello di realizzare più di uno spettacolo che rappresenti una novità, fare il comico senza utilizzare espressioni offensive o fare della comicità, una poesia. Mi piace utilizzare ingredienti diversi, delle volte contrastanti, per creare un buon dolce.

Crede nel lavoro di squadra all’interno di una compagnia teatrale oppure pensa che ci debba essere un leader, un capocomico, a gestire tutto?
Deve esserci un leader a capo di una compagnia teatrale che gestisca il lavoro, ma non dobbiamo immaginarlo come un dittatore quanto piuttosto come la punta di un iceberg che, senza il sostegno della montagna nascosta tra le onde, non spiccherebbe. Io di solito lavoro da solo, ma anche quando sono sul palco per me i tecnici ricoprono il ruolo principale e hanno tutto il mio rispetto. Sono poi dell’idea che un capocomico deve necessariamente essere generoso e altruista e difende il gruppo che dirige. Io, personalmente, cerco sempre di difendere i più deboli. Il capocomico diventa essenziale poi se riconosciuto dal pubblico. E’ una necessità. Se il leader ha notorietà, è più facile che venga apprezzato anche dal gruppo. Infine il vero leader non deve mai parlare al singolare. Deve sempre coinvolgere i suoi colleghi, perchè il gruppo è la vera star.

Magia e illusionismo o teatro e recitazione. Delle due quale preferisce?
La mia scelta l’ho fatta da tempo e non me ne pento. Decisamente il teatro. La magia è utilizzare delle tecniche per divertire e stupire. Scegliere il teatro significa decidere consapevolmente di mettere in gioco il cuore e l’intelletto per trasmettere emozioni ed è sicuramente più appagante. Scrivere un’opera significa maturare e metabolizzare un’idea e una sensazione e far in modo che venga condivisa, che arrivi alle masse.

Cosa ne pensa della televisione come mezzo di diffusione dell'arte?
Ho preso parte a diverse fiction, trasmissioni tv, come Il Maurizio Costanzo Show e recitato in alcuni film. Il cinema sicuramente permette all'attore di avere più notorietà rispetto al teatro, ma non regala le stesse emozioni. Vedere la reazione del pubblico, dialogare con gli sguardi, creare complicità è ben diverso che recitare dietro una telecamera.

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