La parabola del banchetto nuziale: invitati degni del banchetto di Dio

La parabola del banchetto nuziale presenta due quadri paralleli e opposti, nei quali troviamo lo stesso schema: invito, reazione, conseguenze

il capocordata

Il Capocordata

Un banchetto solo rimandato (Mt. 22, 1-14)

La parabola del “banchetto nuziale” presenta due quadri paralleli e opposti, nei quali troviamo lo stesso schema: invito, reazione, conseguenze. Il primo quadro parla di un re che prepara un banchetto per le nozze del figlio e invia i servi a chiamare gli invitati, i quali però declinano l’invito. Il re manda di nuovo altri servi a sollecitare la loro partecipazione, ne segue però un secondo rifiuto diversamente motivato e aggravato dal fatto che alcuni degli invitati maltrattano e uccidono i servi. Dopo questo fatto il re interviene, uccide quegli assassini e ne distrugge la città (vv. 2-7).

Lo strano rifiuto e il comportamento sprezzante e violento dei primi invitati riflette l’atteggiamento del popolo eletto e dei suoi capi, che hanno rifiutato Gesù e il suo messaggio. L’intervento dell’esercito del re fa allusione alla distruzione di Gerusalemme. Matteo legge questo spezzone di storia come la conclusione della funzione storico-teologica di Israele. La fase di Israele si chiude, ma la festa non è cancellata; l’invito non si arresta, trasmigra da un popolo a un altro, continua nel tempo e nello spazio come invito nuziale che sollecita alla partecipazione. Questa interpretazione prepara la via alla comprensione della seconda parte. Dio non si arrende davanti al rifiuto umano. Del resto, è impensabile che l’uomo possa bloccare il progetto di Dio. Resta però vero che tale progetto può subire variazioni, quando l’uomo non vuol collaborare.

Una chiamata universale

Inizia a questo punto il secondo quadro della parabola. L’invito viene ora rivolto a tutte le persone che i messaggeri del re incontrano per strada (vv. 9-10): sono i pagani, che mostrano di essere aperti e disponibili ad accogliere l’annuncio del Regno. L’allusione a “buoni e cattivi” (v. 10) sta a significare che gli invitati non sono discriminati in precedenza. L’idea stessa di universalità della Chiesa comporta la coesistenza di buoni e cattivi, idea già manifestata da Matteo nelle parabole della zizzania e della rete (13, 24-30), dove crescono insieme grano e zizzania, dove vengono raccolti insieme pesci buoni e di nessun valore.

Anche per questa seconda parte della parabola occorre guardare alla storia della salvezza. A un certo punto, il rifiuto di Israele ha fatto scattare l’attenzione al mondo pagano. Dopo un momento di annuncio solo ai giudei, la parola di Dio viene proclamata anche ai pagani, ottenendo un’accoglienza spesso entusiastica. Il libro degli “Atti” testimonia questa situazione: il centurione Cornelio, gli abitanti di Antiochia, Filippi, Tessalonica, Corinto, sono solo un campionario dei numerosi pagani che diventano cristiani. Anch’essi, una volta battezzati, sono ammessi al banchetto della Parola e dell’Eucaristia, ed entrano così a far parte del nuovo popolo di Dio.

In questo secondo quadro della parabola si respira l’aria universalista della comunità primitiva, che apre il suo messaggio a tutti, prolungando lo stile di Gesù. Egli parlava anche a gruppi ufficialmente esclusi dalla salvezza, come pubblicani e peccatori, che per lui non erano meno degni di attenzione dell’a “élite” religiosa ebraica. Questo atteggiamento di universalità che ha caratterizzato la predicazione di Gesù continua anche nella comunità primitiva, che supera le distinzioni tra popolo di Israele e popoli pagani.

Passare dalla vocazione alla sequela

Il racconto potrebbe finire a questo punto, invece continua con un ultimo colpo di scena: il re entra nella sala e scorge un invitato senza la “veste nuziale”, lo rimprovera e lo condanna (vv. 11-13). Il comportamento del re non può non meravigliare: qual è il significato di questo particolare? La chiamata a entrare nella Chiesa è un dono e non conosce frontiere e limitazioni, ma al dono di Dio bisogna rispondere con una vita adeguata. Universalismo sì, ma a condizione che ci si metta in sintonia con l’insegnamento di Gesù.

La veste di cui si parla, indica la vita nuova che è richiesta a colui che vuole entrare a far parte della Chiesa. A chi vuole partecipare al banchetto, quindi, è richiesto un nuovo modo di essere, pena l’esclusione dal banchetto stesso. Proprio per questo la scena si trasforma improvvisamente da conviviale in giudiziale. Il “pianto e stridore di senti” indicano la disperazione per la salvezza perduta per propria colpa (v. 14).

Una comunità in cammino verso la santità

La parabola contiene un severo e pressante avvertimento: la Chiesa non è una comunità di santi, ma di persone in cammino verso la santità, che hanno lasciato un passato sempre minaccioso e influente, e camminano verso un futuro definitivo, atteso e sperato. L’avere ricevuto il battesimo, l’appartenere alla Chiesa non pongono al sicuro, non sono un’ipoteca sulla salvezza, non spalancano automaticamente le porte del paradiso; per entrare nel Regno bisogna mettersi in sintonia con i valori che Gesù ha testimoniato.

“Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti” (v. 14): sembrerebbe che siano pochi quelli che si salvano, mentre la parabola parla di una sala conviviale piena di invitati. Le parole di Gesù intendono essere un serio avvertimento a non cullarsi nella sicurezza, a impiegare tutte le proprie forze per corrispondere alla chiamata di Dio.

Gesù, apri i nostri occhi perché consideriamo la grandezza del dono che ci viene fatto. Gesù, guarisci i nostri cuori perché possiamo, con la tua grazia, compiere le scelte giuste secondo il tuo cuore e la nostra felicità che è il fine di tutti i tuoi figli.                                                      

Il capocordata.                                                                                                                                                                                                 

Bibliografia consultata: Boscolo, 2020; Laurita, 2020.

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