La Pasqua, Papa Francesco e la politica sull’acqua

Papa Francesco, cuore caldo argentino, a differenza di Benedetto XVI, il tedesco, non è un teologo, e mai lo sarà

Se Pasqua è resurrezione e rinascita, è oggi nostro umile dovere riflettere su chi con solerzia ignobile ha attaccato Papa Francesco definendolo un “Papocchio Imam che fa politica da quattro soldi”. A detta di questi puri benpensanti indottrinati, il Papa ragionerebbe all’ingrosso: egli saprebbe, come noi, che gran parte dei migranti sono brutta gente da respingere, mentre solo una piccola parte sarebbe meritevole di accoglienza. Ma come fare per distinguere gli uni dagli altri? Troppo complicato, quindi per farla breve accogliamoli tutti, senza andare tanto per il sottile. Poi il Cielo provvederà.

Affermare che Papa Francesco abbia in camera a Santa Marta il poster di Che Guevara, per le parole che egli ha speso in difesa dei migranti, dei poveri e degli ultimi, lo considererei per il Pontefice, un motivo di orgoglio. Se mai fosse, dote vera, di questi tempi di bassifondi culturali, altro che vergogna. Un sostenitore di Francesco non deve necessariamente professarsi cattolico praticante, quanto uomo di morale alla ricerca di giustizia in un mondo dove in pochi abbiamo troppo,

Chi punta i piedi sul piedistallo della dottrina della Chiesa dogmatica di Roma, pura, nuda e cruda, sciorinando parole estrapolate da versetti evangelici, ma senza basi di sostanza e veridicità, chiedendo a ferma voce la cacciata di Francesco e il ritorno di Benedetto XVI, già sul trono di Roma dal 2005 al 2013, gridando “Aridate er Tedesco”, con eresie simili a cori da hooligans di Chiesa – degni di chi fa dell’ignoranza la propria forza, vive di propaganda e si nutre di menzogne: ma ahimé è proprio questa, oggi, la bassa politica che fa breccia nell’animo dei popoli. Come quella che ha votato a favore della Brexit, che elegge tipi poco raccomandabili in nome della democrazia e del PIL, spinge all’odio e ai respingimenti senza dialogo, alla separazione e alle differenze da marcare, che fagocita violenza in nome dell’egoismo.

Papa Francesco, cuore caldo argentino, a differenza di Benedetto XVI, il tedesco, non è un teologo, e mai lo sarà. A ognuno il suo. Nelle sue apparizioni, come il santo di Assisi, Francesco fa della sua pragmaticità, semplicità e parola, le sue armi principali dirette al riavvicinamento della Chiesa Cattolica al mondo reale, quello appunto dei migranti, degli ultimi e dei più soli: e se ciò significa arrivare ad esprimere pensieri politici sin qui non consoni al ruolo che egli ricopre sulla Terra come vicario di Cristo, ben vengano le domeniche ad ascoltare i suoi discorsi.

Francesco non è uomo di parte. Francesco fa ciò che può, dall’interno di un’organizzazione millenaria cristallizzata, che da troppo tempo ormai pare a molti agnostici non dedicarsi con sincera ed assoluta trasparenza alla salvezza delle anime, quanto piuttosto alla cura del potere, degli interessi finanziari e della difesa del terribile cancro della pedofilia e della pederastia ecclesiastica. Ma seppur Vicario di Cristo in terra, non dimentichiamo che Francesco è un uomo in carne ed ossa, e come tale si è prostrato con umiltà a lavare e baciare i piedi degli ultimi. Lo hanno accusato anche per questo…

Egli è uomo di fede, più umano e stretto parente vicino alla comprensione del peccato di certi falsi cristiani che affollano con la loro elegante proverbialità ed apparenza le fastose celebrazioni nelle Chiese di ogni dove o le piattaforme sociali da dove lanciare anatemi violenti contro la sua apparente e cosiddetta “precaria e mortale dottrina di fede”. E’ sotto gli occhi di ogni cittadino che respira di problemi e quotidianità: chi oggi sta governando il mondo col consenso che ha cercato ed ottenuto, appare ineluttabilmente incapace a gestire un fenomeno, quello dell’emigrazione, che negli anni a venire diverrà un normale fatto dei tempi e sempre meno un’emergenza. E quindi blatera, si batte il petto e chiede più rigore ed ordine nelle città, chiudendo porti e sbeffeggiando chi promuove pietà o compassione.

A quel punto, il messaggio d’amore di Francesco si espande con naturalezza, come un cerchio dopo un altro in un movimento di meccanica ondulatoria, provocato dallo scompiglio del sasso lanciato nell’acqua dall’incapacità politica. E’ lì il difetto. A monte. Francesco difende semplicemente chi muore di fame o di guerra, marcisce nei centri lager che tutti noi conosciamo ma ignoriamo, o  muore in mare o alla fine riesce a sbarcare sulle penisole della parte buona del mondo. Difende chi non ha.  Di cos’altro si dovrebbe occupare? Di organizzare hotspot ai confini dei deserti, pianificare programmi umanitari o di sviluppo? Ciò di cui chi detiene le chiavi del mondo non è in grado di fare? Non viene già ingiustamente accusato di non curare abbastanza la salvezza delle anime?

Pasqua è resurrezione, regaliamo uova che non siano solo farcite di cioccolata e intolleranza, ma doniamo a chi ci è accanto, o chi scavalca un muro per un buon motivo, parole o fatti che simboleggino davvero la rinascita dell’amore, e del dialogo contro ogni forma di egoismo, o quanto meno uno sguardo gentile e generoso. Ci sentiremo più forti per noi stessi e per gli altri.

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