La preghiera di lode di Gesù

Gesù mite e umile di cuore

Il vangelo di questa domenica (Mt. 11, 25-30), 14° del Tempo Ordinario, è inserito in tutto il brano dei cc. 11-13, nel quale ci si interroga sulle opere del Cristo compiute propriamente a Cafarnao e dintorni. Tali opere non appaiono sufficienti a Giovanni Battista, imprigionato, per riconoscere in Gesù “colui che deve venire”. Ma egli domanda e riceve in risposta da Gesù la rivelazione di ciò che esse (opere) significano nel piano di Dio e nelle Scritture. Tocca a Giovanni concludere che Gesù è appunto colui che deve venire e che sono arrivati i tempi messianici. D’altra parte “questa generazione” (le città del lago: Cafarnao, Betsaida e Corozain; il gruppo degli scribi e dei farisei) ricusa l’interrogativo che proviene da queste opere e il loro eventuale significato.

Le sue opere sono in primo luogo le opere del Cristo che appartengono alla sapienza e realizzano il piano di Dio. Esse rivelano l’identità di Gesù: Colui che viene, più grande del profeta Giona, di Salomone, del tempio stesso, vero Figlio di Dio, Signore del cielo e della terra, colui attraverso il quale Dio rivela ai poveri, ai piccoli, a quelli che si piegano sotto il giogo, ciò che era nascosto e resta nascosto ai cosiddetti sapienti, ossia i misteri del Regno. Per questi poveri, iniziati ai misteri del Regno, non c’è condanna ma il ristoro.

Queste premesse fatte fin qui ci permettono di capire ciò che Matteo considera essenziale nel brano che ascolteremo domenica e che presentiamo ora attraverso due schemi fondamentali e intimamente legati l’uno all’altro: “nascosto-rivelato” e “Padre-Figlio”.

Lo schema “nascosto-rivelato”

I fatti dell’attività battesimale di Giovanni e le opere di Cristo nascondono e rivelano nello stesso tempo un tesoro: l’inaugurazione del Regno di Dio. Per scoprire tale tesoro, l’uomo deve rinunciare alla propria sapienza e alla propria intelligenza, altrimenti rischia di interpretare l’avvenimento in un senso assurdo, privo di ogni significato. Per cogliere questo tesoro, l’uomo deve leggere l’avvenimento alla luce del piano di Dio, delle Scritture: allora Giovanni Battista è un profeta eccezionale e non un demonio; allora Gesù opera in forza dello Spirito di Dio e le sue guarigioni sono il compimento delle profezie veterotestamentarie, e non attribuite alla potenza di Beelzebub, il capo dei demoni. Per scoprire questo tesoro, l’uomo deve mettersi alla scuola di Gesù, l’unico in grado di rivelare le cose nascoste fin dalla creazione del mondo. I destinatari dell’invito non sono più gli ignoranti, ma coloro che sono affaticati e oppressi, sottomessi alla tirannia di una legge abusiva che non viene da Mosè, bensì dalle aggiunte degli scribi e dei farisei: Gesù è la Sapienza divina, è lui la scuola! La rivelazione del Padre è negata ai sapienti e intelligenti, cioè a coloro che dovrebbero conoscerla, e concessa ai piccoli, gli inesperti di problemi di legge, gli appartenenti al popolo comune e non istruiti. L’alunno della sapienza incontra personalmente e direttamente colui che è mite e umile di cuore. Gesù assume in pienezza la dolcezza caratteristica della Sapienza, e la sua amicizia per gli uomini, compresi perfino i pubblicani e i peccatori. Il ristoro promesso da Gesù è quello della pace con Dio, di cui si accetta con gioia la volontà.

Lo schema “Padre-Figlio”

Il paragrafo precedente suggerisce parecchi elementi dell’identità di Gesù, la cui sintesi in un’unica persona sembrava fino a lui praticamente impossibile: Gesù è più del profeta Giona che invita alla penitenza; è il servo sofferente intravisto da Isaia; è il nuovo Mosè; è la Sapienza divina che supera di gran lunga quella proverbiale del re Salomone! Si rivolge a Dio chiamandolo il “Signore del cielo e della terra”,  come universale creatore e conservatore del mondo, aggiungendo “Padre”, Gesù qualifica la sua preghiera, la lode cristiana.

In questi elementi diversi, attraverso i quali Gesù rivela la sua identità non soltanto messianica ma anche divina, possiamo già riconoscere qualcosa del “tutto” che gli è stato dato dal Padre ( “Tutto mi è stato dato dal Padre mio…” ), per l’esecuzione storica del suo beneplacito ( “Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te” ), del suo decreto eterno. Il suo potere su tutto, strettamente personale, non suggerisce forse che la sua condizione raggiunge davvero quella del Padre? Dunque, Gesù stesso è il rivelatore del Padre.

D’altra parte, la sua identità più intima sfugge a tutte le investigazioni dell’intelligenza umana, inadeguata ad un tale oggetto: uno soltanto ha il potere di conoscerlo, il Padre. “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre” (v. 27). Gli altri, uomini e angeli, quali che siano i loro sforzi, le loro supposizioni o le loro astuzie, non arrivano a percepire il mistero di questa identità, che non può essere conosciuta da nessuna creatura. Il solo accesso possibile a questa conoscenza è la fede, il cui unico autore è ancora il Padre che rivela il suo Figlio. Inversamente, il Figlio conosce il Padre in una relazione assolutamente identica a quella della conoscenza del Figlio da parte del Padre: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio” (v. 27). Solo una “graziosa” iniziativa di Gesù stesso può permettere ad altri di ricevere dal Padre una rivelazione del medesimo ordine: “e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (v. 27). E’ la persona del Padre, nascosta ad ogni sguardo creato, che il Figlio rivela ai piccoli, con le sue opere, il suo giogo, la sua scuola. Così i due temi fondamentali sarebbero in mutua simmetria: il Padre “nascosto” e il Figlio “rivelato”. Il Padre nascosto è rivelato dal Figlio; ma costui, nella sua identità più intima, divina, è pure nascosto, proprio come il suo Padre che è il solo che può prendere l’iniziativa di rivelarlo. Questo gioco, del resto così semplice, resta inaccessibile ai sapienti e agli intelligenti. Ma la Sapienza si è resa giustizia con le proprie opere presso i piccoli e i semplici.

“Venite a me…” (v. 28): il grido di invito da parte di Gesù diventa la chiamata alla sequela. Gli affaticati sono coloro che devono soffrire per gli svantaggi della vita ma confidano in Dio. Nel vangelo essi stanno accanto ai semplici, ai poveri, ai piccoli. “Prendete il mio giogo sopra di voi…” (v. 29): il giogo del vangelo, dell’interpretazione di Gesù della legge mosaica; “imparate da me…” il vangelo che libera e rasserena. Fare come lui, non meditare vendetta quando si è attaccati, ma essere miti. Con animo mite Gesù è entrato nel suo cammino di sofferenza che lo ha portato nel riposo-ristoro eterno.                            

Bibliografia consultata: Beauvery, 1974; Gnilka, 1990.

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