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La presenza divina nella Chiesa

L’amore per Gesù, che si concretizza nell’osservanza dei comandamenti, condiziona anche il dono dello Spirito. Lo Spirito Santo, infatti, è presente nella Chiesa unitamente a Gesù e al Padre. Nel pensiero dell’evangelista Giovanni, la venuta di Gesù e del Padre non si attua forse attraverso l’intermediario dello Spirito, vera anima della vita della Chiesa? Gesù definisce lo Spirito Santo “un altro Paraclito” (Gv. 14, 16) e “lo Spirito di verità” (v. 17). Il brano di domenica prossima (Gv. 14, 15-21) sottolinea soprattutto l’opposizione radicale tra il mondo che non conosce questo Spirito di verità e i discepoli che, invece, lo possiedono dentro di loro. Il mondo rimane fondamentalmente incapace di ricevere lo Spirito. Questa incapacità nasce dal suo atteggiamento verso l’attività terrena di Gesù: per mancanza di fede, il suo sguardo non è riuscito a discernere e la sua intelligenza non ha potuto afferrare il mistero della persona di Gesù, rivelatore del Padre, e la presenza in lui dello Spirito.

Ai discepoli, invece, il Paraclito sarà dato: resterà con loro e in loro. E ciò non soltanto a motivo del loro amore futuro (“Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”), ma anche perché , già prima della dipartita di Gesù, vi si sono preparati. Infatti, Gesù dice agli apostoli nel suo discorso di saluto: “Voi lo (lo Spirito Paraclito) conoscete, riferendosi alla situazione attuale, non solo futura. A quale situazione siamo rimandati? Non solo al tempo della Chiesa, nella quale e per la quale l’evangelista Giovanni scrive; ma anche al tempo di Gesù. L’espressione “dimora in voi” rimanda probabilmente alla presenza dello Spirito tra i discepoli prima della glorificazione di Gesù, anche se lo Spirito non era ancora stato dato. Tuttavia, lo Spirito era già presente nella persona di Gesù su cui era disceso per rimanervi. All’opposto del mondo, i discepoli, mediante la fede, hanno riconosciuto tra loro la presenza dello Spirito nella persona di Gesù: “Voi lo conoscete, perché dimora in voi”. Ecco perché ricevono la promessa di una presenza più intima, realmente efficace, quando lo Spirito sarà dato loro dal Padre per intercessione di Gesù glorificato: Egli sarà con loro e in loro.

In altri quattro testi giovannei, Gesù specifica quale sarà la funzione dello Spirito nei confronti dei discepoli: ne approfondirà la fede, aiutandoli a comprendere dall’interno la vita di Gesù e il suo messaggio; li renderà forti contro gli assalti del mondo e ispirerà la loro testimonianza; confonderà l’iniquità di questo mondo che ha rifiutato Gesù.

E’ in questa prospettiva che lo Spirito promesso da Gesù è “Spirito di verità” (v. 17). Egli farà assimilare la rivelazione di Gesù nei cuori, fornirà una comprensione più profonda del mistero di Gesù, della sua vita, dei suoi gesti, delle sue parole; illuminerà così le situazioni nuove che il cristiano dovrà affrontare. E, nello stesso tempo, è il “Paraclito” (v. 16) perché assisterà i credenti, prendendo il posto di Gesù il quale, finché è stato sulla terra, aiutava i suoi. Egli è dunque “un altro Paraclito” attraverso il quale Gesù, ora glorificato, continua la sua opera.

Nonostante le differenze non trascurabili tra la promessa dello Spirito annunciata nei discorsi di addio nell’ultima cena e il dono fatto ai discepoli la sera di Pasqua, molti studiosi dei testi sacri vedono in questo dono il primo compimento della promessa di Gesù: “Voi lo conoscete perché egli dimora presso di voi” (v. 17). Tuttavia, come la venuta del Gesù risorto non si limitava al periodo delle apparizioni pasquali, così lo Spirito resta, dimora per sempre con i discepoli. Nel tempo della Chiesa, grazie a questo Spirito, non solo i responsabili della comunità ecclesiale, ma tutti i credenti colgono veramente la rivelazione (Spirito di verità) portata da Gesù, godono della sua assistenza (Spirito Paraclito), ricevono l’unzione, cioè la Parola di Dio, rivelata in Gesù, proclamata dalla Chiesa e assimilata dalla fede sotto l’azione dello Spirito Santo. Mediante lo Spirito, il Cristo rimane presente alla sua Chiesa e agisce in essa già come Signore che verrà alla fine della storia.

“Non vi lascerò orfani, verrò di nuovo da voi” (v. 18).  Per il mondo, Gesù è morto e quindi appartiene ormai al passato: “ancora un poco e il mondo non mi vedrà più”. Ma in questo modo il mondo si condanna da solo: Gesù non sarà più presente per chi non crede. Per i discepoli, invece, le parole “ancora un poco” contengono la promessa di un ritorno. Si tratta dell’iniziativa sovrana del Signore pasquale, risorto, che viene benché le porte siano chiuse. Allora i discepoli godranno di un’esperienza unica. Questa promessa diventa realtà la sera stessa di Pasqua: i discepoli vedono il Signore risorto. “Voi mi vedrete perché io vivo e anche voi vivrete”: la visione reale del Cristo risorto che hanno i discepoli è un vero discernimento: è accompagnata dalla coscienza dell’unità di vita tra Gesù e il Padre e per questo anch’essi vivranno. Ciò vale per tutti i discepoli del tempo della chiesa: il Signore viene e noi lo vediamo. Non è più la visione dei discepoli di fronte al Risorto, ma una visione di fede che ci rende coscienti di una presenza e di una comunione di vita, appunto “non vi lascerò orfani”!

Tutto questo è riservato per coloro che amano Gesù: “Chi mi ama, sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò”. Tale amore consiste nell’osservanza dei suoi comandamenti: l’amore fraterno e la fede in Gesù come inviato del Padre. Non sono due comandamenti separati: l’amore fraterno si fonda sulla fede in  Gesù, inviato per rivelare e realizzare l’amore salvifico del Padre verso tutti gli uomini. Accogliere l’amore del Padre manifestato da Gesù e amare i propri fratelli come Gesù li ama, significa per i discepoli amare Gesù e il Padre. Ecco perché in questo amore si realizza la presenza di Gesù e del Padre. Si tratta di un’autentica presenza reciproca: i discepoli rimangono nell’amore divino, il Padre e Gesù dimorano in loro.

Bibliografia consultata: Traets, 1971.

Redazione

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