Cronaca

Lazio, malasanità: il caso di Andrea Purgatori come la morte di Lisa Federico al Bambino Gesù

Un filo invisibile lega il recente, eclatante episodio riferito agli ultimi giorni di Andrea Purgatori a tanti altri episodi meno conosciuti, ma non meno gravi, tra i quali quello della morte di Elisabetta Federico (Lisa) avvenuta il 3 novembre 2020 presso l’ospedale Bambino Gesù.

La malasanità nel Lazio

Nell’attuale buio totale della Sanità laziale, in questi giorni brilla di luce propria il tragico destino del giornalista Andrea Purgatori. Questa luce è appesa ad un filo all’altro capo del quale fa immensa fatica a farsi notare un’altra lucina, quella legata all’almeno altrettanto tragica storia di Elisabetta Federico (Lisa), morta all’interno dell’Ospedale “di eccellenza” del Bambino Gesù a seguito di una infusione di globuli rossi assassina. Tra queste due, così diverse tra di loro, nessun’altra luce. Nel buio non si distingue nulla. Ma se andiamo più vicini al filo, se proviamo a tastare alla cieca nel buio, ci accorgiamo che appese ci sono tantissime altre luci, tutte legate allo stesso filo della malasanità del Lazio.

Ma queste luci non riescono ad accendersi. Le storie di ingiustizia, di morte, di soprusi e di umiliazioni subite che ciascuna di esse rappresenta non riescono né riusciranno mai ad illuminarsi, destinate all’oblio ed all’indifferenza generale. Perché, nel mondo attuale, chi subisce le conseguenze dell’impazzimento del nostro Sistema Sanitario, per raccontare, denunciare e, magari, sperare di avere giustizia deve godere delle condizioni materiali per farlo. Altrimenti la propria lampadina rimarrà spenta per sempre appesa a quel filo.

Quali sono queste condizioni? Dal raffronto dei primi passi della storia di Andrea Purgatori con quella di Lisa, salta subito agli occhi una differenza, al di là della totale assenza di caratteristiche cliniche comuni tra le due vicende. Ai legittimi dubbi dei familiari del giornalista ha fatto immediato riscontro la presentazione della denuncia e dell’apertura di un fascicolo da parte del PM designato. Nessuno, in primis gli avvocati nominati dalla famiglia, ha giustamente osato mettere in dubbio i pesanti sospetti dei familiari sulla girandola di diagnosi (tumore al polmone, ischemie cerebrali, diverse forme di tumori cerebrali, e chi più ne ha più ne metta) offerte dai luminari interpellati.

All’indomani della morte di Lisa invece, come primo impatto io e mia moglie Margherita abbiamo avuto avvocati che ci guardavano perplessi affermando: ”Come possiamo sapere che quello che ci state dicendo sia vero? Portateci almeno tre perizie che vi diano ragione”.

“Contro il Bambino Gesù non mi espongo”

E lì cominciò la nostra Via Crucis tra luminari, associazioni per la (pretesa) difesa del cittadino, cattedratici che ci ascoltavano, annuivano e concludevano: “Si, potreste anche avere ragione, ma io contro il Bambino Gesù non mi espongo”. E così passarono 14 mesi prima di trovare tre anime buone e coraggiose che descrivessero in poche, chiare ed efficaci parole il martirio di Lisa. Se a questo aggiungiamo altri circa quattro mesi per l’apertura del fascicolo, salta subito all’occhio con quali differenze di velocità possano attivarsi certi passaggi della nostra giustizia.

E ovvia quindi sorge la domanda: quali sono i meccanismi per cui i dubbi dei parenti possono essere considerati subito, con grave ritardo, o anche mai dalla giustizia?

Innanzitutto, condizione necessaria (ma non sufficiente) per provare solo a chiedere di avere giustizia è la disponibilità economica. Chiedere giustizia per malasanità è chiaramente un privilegio di classe. Costi degli avvocati più appropriati, costi delle perizie, tutti decisamente fuori dalla portata di tantissime persone. Molti, troppi rinunciano anche per questioni culturali, e per un generale senso di impotenza.

Ed è comprensibile. entrare in contraddittorio con una certa classe medica, implica scontrarsi con lobby, ordini professionali e potentati vari molto difficilmente affrontabili. Ne abbiamo avuto una brillante controprova pochi giorni fa, allorquando, all’indomani dell’avvio del contenzioso sul decesso di Andrea Purgatori, una delle tante associazioni di medici invece di offrire proposte affinché casi del genere non abbiano a ripetersi, ha sostenuto pubblicamente che il modo per risolvere i problemi è la depenalizzazione dei reati sanitari per colpa grave.

L’importanza di chiamarsi Ernesto

Ho letto e riletto queste dichiarazioni. Non volevo crederci.

Ma un altro fattore entra in gioco, indicato dal tempo che la stessa procura ha impiegato per aprire il fascicolo su Andrea Purgatori (due giorni), e quello di Lisa, circa quattro mesi. I media, la notorietà, “l’importanza di chiamarsi Ernesto”.

E se la (meritata) notorietà di Andrea Purgatori ha spinto la Procura di Roma ad applicare tempi ragionevolmente rapidi per aprire un fascicolo, per Lisa, ragazza adottata ucraina di 17 anni, non si poteva pretendere tanto.

Ma noi vogliamo giocare la nostra partita su un altro fronte. Sul fronte dell’informazione e della condivisione dell’esperienza nostra insieme con altre, con lo scopo ultimo di ridurre gli episodi di malasanità al minimo possibile.

Purtroppo, a differenza del caso Purgatori, la proposta ai grandi media di raccontare la nostra esperienza è stato sempre respinta, con la meritevole eccezione della trasmissione di Salvo Sottile.

Il Bambino Gesù, l’ospedale del Papa

La grande comunicazione spesso non guarda all’essenza, al significato ed all’utilità del racconto. Guarda piuttosto a quanto può essere semplice creare interesse anche solo sulla base della notorietà dei personaggi in questione. In una certa misura è sempre stato così. E soprattutto, sta attenta a non pestare i piedi sbagliati. E purtroppo, nel caso di Lisa il protagonista in negativo è l’ospedale del Papa, gestito dal Vaticano in un ambito di extra-territorialità.

In proposito, abbiamo appena avuto comunicazione ufficiale che l’accorata lettera che mia moglie Margherita scrisse al Papa è ora sul suo tavolo.

Noi chiediamo al Papa solo che il Bambino Gesù, attraverso i suoi azzeccagarbugli, smetta di frapporre ostacoli procedurali di tutti i tipi per impedire il pubblico dibattimento. Svolto il quale ci diremo soddisfatti, ben coscienti del fatto che Lisa non tornerà più, e che per nessun medico si potrà prospettare nemmeno lontanamente un solo giorno di carcere.

Ma perché il Bambino Gesù, invece di aver riconosciuto immediatamente l’incidente, continua a trincerarsi dietro giustificazioni lunari? Tutto gira attorno al concetto di Reputazione

E’ questione di reputazione

La Reputazione se non è tutto, è moltissimo per un ospedale, vieppiù quando dedicato ai bimbi.

L’ospedale Bambino Gesù è perfettamente cosciente del disastro combinato ai danni di Lisa. La storia di Lisa ha fatto il giro di tutta la Sanità italiana, e anche di parte di quella estera.

Ma la Reputazione che forse conta di più per un ospedale è quella che si ha verso il pubblico, verso gli utenti, verso i non esperti della materia. E a tutti coloro i quali la storia di Lisa è arrivata, è per un attimo mancato il respiro.

A cose fatte, il Bambino Gesù aveva davanti a sé due strade: negare, negare comunque l’evidenza. O riconoscere l’accaduto. Porvi rimedio, era impossibile. Fare in modo che non accadesse più neanche un centesimo di quello accaduto a Lisa, sì.

Ed è per questo che il nostro slogan “Mai più come per Lisa” dovrebbe oggi essere la parola d’ordine del Bambino Gesù, dovrebbe essere appeso nei corridoi di quell’ospedale, non dovrebbe rimanere solo una nostra invocazione.

Ma il Bambino Gesù ha scelto sin da subito di negare tutto, di dire che andava tutto bene. Di negare ciò che è scritto sulla cartella clinica da loro stessi prodotta. Chiunque può fare il raffronto fra ciò che hanno fatto a Lisa e ciò che è scritto su uno dei tanti libri dedicati alla materia.

“Limite massimo di volume di globuli rossi Abo incompatibili trasfondibili in un soggetto con concentrazione di anticorpi (isoagglutinine) Anti-Ab maggiore di 1:16 (Lisa ne aveva circa 20 volte di più): minore di 20 ml”.

Oltre, c’è la morte. Lisa ne ha ricevuti l’equivalente di 350 mL, 15 volte di troppo.

Quanto avrebbe guadagnato in Reputazione il Bambino Gesù se la signora Enoc all’indomani della tragedia, invece di inviarci inutili e offensivi cartoncini di “vicinanza e promesse di preghiere”, avesse pubblicamente riconosciuto il disastro commesso dai suoi dipendenti, promettendo e predisponendo affinché “Mai più come per Lisa”.

La salute di tutti

Al Bambino Gesù invece confidano sul fatto che “il grande pubblico” non sappia mai, in modo che la loro Reputazione sia salva, e su questo si sono attivati già da tempo.

Con le dita ancora sporche di marmellata, preferiscono continuare a dire che non sono stati loro.

Per tutti questi motivi sarebbe un sogno se tutti coloro che hanno subito danni gravi o irreparabili da questo Sistema Sanitario allo stremo, si unissero pubblicamente in una voce sola, al di là di qualsiasi pretesa risarcitoria. Perché in ballo c’è la salute di tutti, bene supremo.

La pubblica denuncia è uno strumento insostituibile per eradicare i mali ormai incancreniti che affliggono il nostro Sistema Sanitario. Quei pochi, ma potenti, che non hanno la coscienza a posto lo sanno bene, e stanno facendo di tutto per minimizzare e soffocare la protesta di tutti i danneggiati.

Tutte le lampadine appese al filo della malasanità dovranno accendersi. Solo così sconfiggeremo l’attuale buio che ci affligge.

Dr. Maurizio Federico (che scrive a titolo personale e non per conto ISS)
National Center for Global Health
Istituto Superiore di Sanità

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