Categorie: Cronaca

Locazioni, Corte Costituzionale un altro rinvio

L’antefatto è noto:  nel giugno del 2011 il Governo emana il D.lgs 23/2011 senza averne la delega da parte del Parlamento.

La norma è  devastante: l’inquilino può andare all’Agenzia delle Entrate, denunciare (anche senza uno straccio di prova) di essere in affitto con un contratto non registrato (o con un canone superiore a quello registrato) ed ottenere un contratto nuovo di 8 anni ad un canone risibile.

Parte un contenzioso giudiziario enorme ed una spirale di odio senza fine tra proprietari ed inquilini (ci scappa anche qualche morto).

Dopo tre anni di sudore e lacrime per i piccoli proprietari, vistisi defraudati inopinatamente del frutto di anni di lavoro o di un appartamento avuto in eredità, la Corte, nel marzo 2014, dichiara incostituzionale il detto decreto legislativo per difetto di delega.

Due mesi dopo, sulla spinta delle organizzazioni per gli inquilini e con l’appoggio incondizionato dei parlamentari PD (e non solo), il Parlamento, disattendendo gli ammonimenti della Commissione Affari Costituzionali del Senato, con un colpo di mano, approva una norma (art. 5 comma 1ter L.80/14) che di fatto allunga sino al 31.12.2015 gli effetti del decreto dichiarato incostituzionale. In ciò violando il giudicato costituzionale (art. 136 Cost) oltre ad altri tre o quattro articoli della Costituzione.

Anche questa norma viene impugnata da vari Tribunali italiani e viene posta al vaglio della Consulta. L’effetto pratico è che il mercato degli affitti è di fatto azzerato nonostante le lusinghe di una minore tassazione, da parte dell'Erario, delle rendite da locazione. I piccoli proprietari non danno  più credito ad uno Stato che cambia le regole  durante il gioco e che si è dimostrato infido a più riprese.

E siamo ai nostri giorni.

Con una decisione a sorpresa la Corte Costituzionale ha rinviato la decisione sulla incostituzionalità dell’art. 5 comma 1ter L.80/2014  spostando l’udienza in camera di consiglio (già fissata per il 13 maggio 2015) a quella pubblica del 23 giugno 2015.

Francamente non si riesce a capire quali possano essere le motivazioni del nuovo rinvio di una decisione attesa ormai da tanti mesi da migliaia di proprietari e inquilini.

Il motivo non sembra poter essere di natura procedurale perché al momento della nuova decisione erano spirati tutti i termini di legge per la costituzione in giudizio delle parti in causa. Cosa che avrebbe automaticamente comportato la trattazione in udienza pubblica.

La modifica sembra, allo stato, essere giustificato da motivi di opportunità e (finalmente) di trasparenza valutati dai Giudici costituzionali.

La trattazione dei ricorsi in udienza pubblica dovrebbe essere la regola per consentire uno svolgimento il più lineare e trasparente possibile, senza possibilità di sotterfugi e manovre oscure.

La procedura costituzionale però, anche al fine di smaltire l’enorme arretrato della Corte (per arrivare ad una sentenza ci vuole mediamente un anno e mezzo), è ricorsa al rito camerale più snello e veloce, ma anche meno trasparente.  E ciò soprattutto quando i ricorsi apparivano palesemente inammissibili o infondati.

Se si vuole trovare un elemento positivo in questo nuovo rinvio (di per sé non certo fatto edificante, visti i tempi biblici che già ci vogliono per arrivare ad una decisione della Consulta) è che, finalmente, si avrà un dibattito giuridico, manifesto e palese perché aperto al pubblico, su una normativa che è partita nel giugno 2011 come invenzione del Governo, è stata dichiarata incostituzionale e poi reimmessa nell’ordinamento giuridico dal Parlamento con un provvedimento  con un odore di incostituzionalità più forte del primo.

Siamo proprio curiosi di sentire l’Avvocato dello Stato perorare le ragioni del Governo a sostegno della legittimità costituzionale di una legge che è stata un autentico schiaffo alla Consulta perché emanato solo dopo due mesi dalla precedente sentenza della Corte e con effetti procrastinatori di una legge appena dichiarata incostituzionale.

Dobbiamo dire anche, ad onor del vero, che anche la Corte non è scevra da colpe in tutta questa situazione in quanto non ha certo brillato per coraggio laddove avrebbe dovuto porre un più efficace altolà al legislatore nell’emanare leggi a senso unico, discriminatorie e vessatorie nei confronti dei proprietari e a vantaggio unilaterale degli inquilini.

Avrebbe la Corte potuto e dovuto stigmatizzare con più efficacia lo svuotamento da parte del legislatore del diritto di proprietà, previsto e protetto dalla Costituzione, la disparità di trattamento dei cittadini nonché di situazioni analoghe tra loro.

Avrebbe altresì dovuto la Corte ricordare la valenza dello Statuto del Contribuente e il diritto del cittadino-contribuente di potersi difendere nelle sedi tributarie opportune senza invece essere destinatario, senza possibilità di difesa, di sanzioni ed effetti giuridici devastanti basati sulle dichiarazioni unilaterali di controparti interessate.

Ci aspettiamo che una volta per tutte, in udienza pubblica e quindi davanti a tutta l’Italia, venga finalmente smascherato un sistema che, dietro il falso mito della lotta all’evasione fiscale, ha di fatto avvantaggiato la sola schiera degli inquilini a detrimento dei piccoli proprietari.

E che lo ha fatto calpestando ripetutamente la Costituzione e persino senza dare peso ai richiami delle stesse Commissioni per gli Affari Costituzionali in seno al Parlamento.

E speriamo che si possa dire ancora una volta: “E meno male che c’è la Corte Costituzionale”…

 

Redazione

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