Locazioni e campagna elettorale

Quando le ragioni di partito prevalgono sull’interesse generale dei cittadini

Tanto hanno detto e tanto hanno fatto che alla fine ci sono riusciti: l’art. 3 commi 8 e 9 del D.lgs 23/2011, dichiarato incostituzionale dall Consulta solo due mesi fa e, quindi, morto in attesa di sepoltura, è stato resuscitato come Lazzaro di Betania per una successiva agonia che durerà fino al 31.12.2015.

Chi ha seguito i lavori parlamentari della conversione in legge del DL 47/2014 (Piano casa Lupi), che hanno portato alla emanazione dell’art 5 comma 1-ter della L. 80/14, che reintroduce le disposizioni già dichiarate incostituzionali, sa bene di aver  assistito ad un poco decoroso colpo di mano da parte del PD e di NCD (sempre più stampella del primo, come afferma – non a torto – il Cavaliere), innescati dalle fibrillazioni delle varie associazioni a difesa di quegli inquilini (non tutti, per la verità) che, piuttosto di mantenere fede ai patti stipulati con I proprietari di casa,  hanno preferito approfittare di una disposizione emanata in barba alla legalità e, come tale, giustamente bollata di incostituzionalità dalla Consulta.

Il legislatore, non contento di aver partorito una delle peggiori leggi degli ultimi anni, adesso ha pensato bene anche di perseverare nell’errore con l’art. 5 comma 1-ter della L.80/14 che testualmente recita:

“Sono fatti salvi, fino alla data del 31.12.2015, gli effetti prodottisi e i rapport giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell’art. 3 commi 8 e 9 del d.lgs 23/2011”.

Ciò significa che – allo stato attuale – i contratti imposti forzosamente dall'Agenzia Delle Entrate in virtù del D.Lgsl. n. 23/2011, i quali prevedono un canone pari al triplo della rendita catastale, conservano il loro valore almeno fino al 31 dicembre 2015. Questo, almeno, nell’intenzione del legislatore. 

In realtà, sembra evidente che alcune forze politiche, che per mesi hanno decantato agli inquilini i vantaggi economici del ricorso alla denuncia presso l’Agenzia delle Entrate, siano rimaste spiazzate dalla decisione della Consulta e, quindi,  si siano decise a correre ai ripari in fretta e furia dando vita, in modo – direi – poco ortodosso, ad un articolo pasticciato ed ambiguo su cui già sono puntati i riflettori e le lenti di ingrandimento di avvocati, giuristi e costituzionalisti.

Si sa che la fretta è una pessima consigliera e l’articolo in esame ne è un chiaro esempio.

Ma vediamo in concreto l’articolo:

Fino a dicembre 2015 i proprietari non sarebbero autorizzati ad ottenere il pagamento dei canoni pieni arretrati, quelli cioè previsti nei contratti originariamente stipulati e registrati in ritardo, in quanto risulterebbe temporaneamente lecito l'effetto prodottosi (e cioè il pagamento in misura inferiore secondo quanto disposto dal contratto dell'ADE).
Sotto il profilo della durata e del canone ridotto, i contratti forzosi dell’ADE conserverebbero efficacia sino al 31.12.2015.

Questo è il contenuto della nuova disposizione che, CERTAMENTE, non invalida nè la sentenza n.50/2014 della Consulta, nè il fatto che l’art.3  commi 8 e 9 D.Lgs 23/2011 è incostituzionale.  Conseguenza ne è che gli effetti della L. 80/14 non possono che essere transitori e, quindi, dal primo gennaio 2016, i proprietari potranno nuovamente richiedere tutti gli arretrati.

Sotto altro profilo, neanche evidentemente elaborato e preso in considerazione dal legislatore, incalzato come è stato dal tempo e dagli ideatori della sanatoria, la norma in esame si candida di diritto (si perdoni il gioco di parole)  ad essere dichiarata incostituzionale, al pari di quell’articolo 3 che ha forzatamente cercato di far rivivere nonostante la statuizione della Corte Costituzionale.

Già in un precedente articolo abbiamo trattato la violazione del giudicato costituzionale, approfondendo la giurisprudenza della Corte sul punto (in particolare le sentenze n.350/2010; 223/1983; 73/1963; 88/1966).

Abbiamo visto come è fatto divieto al legislatore sia di conservare l’efficacia di una norma dichiarata incostituzionale, sia di cercare di ottenere, “anche se indirettamente”, esiti corrispondenti a quelli in contrasto con la Costituzione.

Questi principi valgono in assoluto e, nel caso di specie ancora di più,  visto che, fra la sentenza della Corte e la nuova norma “sanante”,  sono passate appena poche settimane.

Quale è la morale che si ricava da questo brutto esempio di legiferazione dato dal Parlamento?

Fare leggi per accontentare e favorire alcuni cittadini a scapito di altri non è legiferare correttamente.

Violentare la Costituzione e infischiarsene altamente dei moniti e delle sentenze di questa,  arrischiando voli pindarici nel goffo e neanche tanto celato tentativo di eluderne I precetti, non è legiferare correttamente.

Concepire leggi pressati da esigenze di incombenti campagne elettorali, significa svuotare di significato la funzione legislativa che deve essere principalmente uno strumento esercitato dal Parlamento nell’interesse della comunità e non solo di chi urla più forte oppure di chi vanta più penetranti conoscenze politiche.

Non posso che concludere come ho fatto ultimamente: meno male che c’è la Corte Costituzionale….

Avv. Paolo Cotronei

 

 

 

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