Categorie: Cronaca

Locazioni: la Consulta da il via alla restituzione dei canoni

Sembra finalmente ristabilita una parvenza di legalità in una materia, quella delle locazioni, in cui , in questi ultimi lunghi quattro anni,  Governo e Parlamento non hanno certo brillato per rispetto della Costituzione.

Ed anzi le misure normative sembrano essere state sempre il frutto di compromessi e accordi politici tesi a favorire (in alcuni casi in maniera sfacciata) la posizione degli inquilini a detrimento della categoria dei piccoli proprietari.

In particolare, il D.Lgs 23/2011 che prevedeva l'invito per gli inquilini a denunciare all'ADE i contratti in nero (o parzialmente non registrati) con la ghiotta prospettiva di un canone irrisorio e un contratto nuovo di otto anni: in pratica un vero e proprio esproprio a danno del proprietario sottoposto ad una vessazione ingiustificata e sproporzionata rispetto all'illecito fiscale commesso.

Questa parte del decreto, peraltro, è stata emanata per iniziativa autonoma del Governo che non ne aveva il potere, nè la delega da parte del Parlamento. Da qui la conseguente prima pronuncia di incostituzionalità della Consulta raffigurata nella sentenza del marzo 2014.  

Ci sono voluti però tre anni in cui si sono creati dei guasti incredibili a danno dei piccoli proprietari (per intenderci, quelli che dalla casa avevano un piccolo reddito da associare ad una pensione o ad un piccolo stipendio o quelli che pagavano il mutuo con il canone dell'inquilino).

Come se non bastasse, successivamente, la protervia di alcuni politici, sempre a caccia di facile consenso elettorale, ben imbeccati da rumoreggianti organizzazioni a favore degli inquilini, ha pensato bene di farsi nuovamente beffe (questa volta in maniera neanche malcelata) della Costituzione e della Corte: ed ecco quindi questo famigerato art. 5 comma 1ter L.80/2014 che, in barba a tutti i principi costituzionali, ha di fatto prorogato al 31.12.2015 gli effetti (durata della locazione ed irrisorietà del canone locativo) del D.Lgs 23/2011 (parte), già dichiarato incostituzionale appena due mesi prima.

Ricordo, nell'aprile-maggio del 2014,  la febbrile attività di alcuni esponenti dei movimenti della casa, di concerto con i promotori e relatori del provvedimento (fra tutti il sen. Mirabelli, del PD, cui pure avevamo rivolto una preghiera ad una maggiore osservanza della Costituzione), tesa ad inserire a tutti costi una norma che salvasse gli inquilini dallo "spettro" di dover restituire tutte le differenze di canone risparmiate in tre anni. E ciò nonostante un preciso avvertimento della Commissione Affari Costituzionali che ammoniva su una possibile incostituzionalità di questa misura.

Quindi, nell'indifferenza e disinteresse generale di altre parti politiche che avrebbero dovuto far sentire maggiormente la loro voce in difesa della piccola proprietà,  il Parlamento ha emanato questa poco onorevole norma che oggi è stata giustamente spazzata via dalla Corte Costituzionale.

Questi i fatti. Un maggiore approfondimento delle motivazioni della sentenza e degli scenari che oggi si prospettano nelle aule giudiziare e nei rapporti tra proprietari ed inquilini, ci riserviamo un ulteriore articolo.

Un fatto è certo: se il nostro legislatore, in ossequio al sempre valido "Divide et impera", di romana memoria) voleva creare tensione e dividere le due categorie (Inquilini e proprietari), c'è perfettamente riuscito; se voleva risolvere la crisi abitativa, che vede sempre meno case in affitto, non c'è riuscito. Ed anzi ha creato uno strappo (di sfiducia, rabbia e disperazione) difficilmente ricucibile.

Nessun proprietario può credere ancora o fare più affidamento in uno Stato che non offre nessuna tutela della proprietà; uno Stato che utilizza i piccoli proprietari come ammortizzatori del disagio sociale determinato dalla crisi abitativa; uno Stato che cambia le regole del gioco in corsa.

E meno male che c'è la Costituzione…

 

Redazione

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