Mafia a Viterbo, si pronuncia la Cassazione: diversi imputati rischiano il 41 bis

L’udienza definitiva arriva dopo anni di indagini e oltre 40 attentati intimidatori

Corte di Cassazione

Corte di Cassazione

Mafia a Viterbo e provincia, è arrivato il momento della Cassazione. Questa mattina alle 10 inizierà l’udienza che si pronuncerà definitivamente sull’associazione capeggiata da Giuseppe Trovato e Ismail Rebeshi. Il gup del Tribunale di Roma e la Corte d’appello hanno già affermato, che quel gruppo era un’associazione mafiosa. Ora se quel gruppo era davvero di stampo mafioso, lo dovrà confermare la Cassazione.

Mafia a Viterbo, il processo dopo 40 attentati intimidatori

Giuseppe Trovato, Ismail Rebeshi e altri 7 sodali sono stati arrestati dai carabinieri del Nucleo investigativo di Viterbo il 25 gennaio del 2019, al termine di una complessa indagine che ha ricostruito oltre quaranta attentati intimidatori, la maggiori parte dei quali incendiari, messi a segno nella città di Viterbo. Vittime predilette i piccoli imprenditori di attività compro-oro, ma anche gestori di locali notturni e sfortunati malcapitati.

Il giorno dell’arresto della banda, in cui furono eseguite 13 misure cautelari, intervenne anche Michele Prestipino, procuratore nel 2019 aggiunto alla Dda di Roma e affermò che quella scoperta era la prima “mafia” nella città di Viterbo, scrive Il Messaggero.

Le accuse vedono imputati capi e gregari per oltre 70anni di carcere. Pene aggravate dalla detenzione al 41 bis, ossia in isolamento sia all’interno che all’esterno del penitenziario, per impedire qualsiasi tipo di comunicazione con l’esterno.

Viterbo, i Pm: “Non una mafia di serie B”

Secondo i pm antimafia Giovanni Musarò e Fabrizio Tucci che hanno coordinato le indagini “Quella che ha operato a Viterbo è una “piccola mafia” come quella che è stata riconosciuta per il clan dei Fasciani a Roma. Attenzione, non una mafia di serie B, ma una mafia violenta, pericolosa che, senza l’intervento dei carabinieri, avrebbe potuto fare ancora di peggio”.

La versione della difesa Di Rienzo

Il ricorso presentato da Giuseppe Trovato, tramite l’avvocato Giuseppe Di Renzo, punta invece proprio sula negazione dell’esistenza di un’associazione di stampo mafioso.

“Siamo convinti che il sodalizio non era mafioso, ma si è trattato di una faida interna al mercato dei compro-oro e per la gestione dei locali notturni per stranieri“.