Maria ed Elisabetta: la visitazione

di Il capocordata

Nel Vangelo dell’infanzia (Lc. 1-2) narratoci da Luca, l’evangelista adotta un parallelismo molto accentuato, una costruzione simmetrica e progressiva che intende sottolineare la continuità tra le due economie della salvezza (AT e NT) e la completa subordinazione di Giovanni a Gesù. Nel racconto della Visitazione (1, 39-45), questo rapporto tra il precursore e il messia si unisce a una relazione analoga tra la madre di Giovanni e la madre di Gesù, mettendo in vivace rilievo la comunione d’animo tra le due donne e insieme l’incomparabile superiorità di Maria. Luca collega strettamente la Visitazione all’Annunciazione. Ricevendo il messaggio celeste che riguarda la sua maternità messianica, Maria interroga l’angelo a proposito della propria verginità. L’angelo precisa allora il carattere miracoloso, verginale, della concezione annunciata. E di questa promessa egli indica un segno premonitore e in qualche modo analogo: la concezione miracolosa di Elisabetta, malgrado la sua età avanzata e la sua precedente sterilità. Quasi sempre la promessa divina può implicare l’indicazione di un segno, di cui poco dopo si riferisce la verifica. E’ quest’ultimo punto, la costatazione del segno, che viene esposto in primo luogo nell’episodio della Visitazione: il sussulto di Giovanni Battista nel grembo della madre, attestando la gravidanza di Elisabetta, deve servire anche di garanzia per la concezione miracolosa della Vergine: “Nulla è impossibile a Dio”.

La manifestazione del segno (vv. 39-42)

“In quei giorni Maria si mise in viaggio…”: questa indicazione collega strettamente il nostro racconto con l’Annunciazione; il messaggio dell’angelo sulla concezione miracolosa di Elisabetta conteneva implicitamente l’invito ad andare ad ammirare il segno portentoso. La partenza della Vergine non è che la risposta a questo suggerimento dell’angelo. Nella docilità della fede, sicura della Parola di Dio, Maria parte subito. Non va per curiosità o per accertamento: crede a ciò che le è stato detto circa sua cugina. Va per slancio di amicizia. Se ne va in fretta da Elisabetta; fin dal suo arrivo il segno si realizzerà. L’espressione “in fretta” traduce la disposizione interiore, uno stato d’animo, il fervore e lo zelo per una cosa che sta a cuore. Ma anche il timore religioso, l’emozione sacra di fronte al meraviglioso degli avvenimenti che accadono inaspettatamente.

Maria va “verso” la montagna, per una città di Giuda, nella casa di Zaccaria: la preposizione evoca bene il movimento, lo slancio che trascina Maria, la gioia, il fervore che la anima, a partire dal fausto messaggio dell’angelo e dalla venuta di Dio in lei, gioia che proromperà nell’esultanza del Magnificat. Arrivando da sua cugina, Maria le rivolge, per prima, il saluto di uso “shalom” pace: augurio di gioia, di salvezza, secondo i modelli biblici. Il saluto di Maria, come quello dell’angelo, è portatore di grazia, annunciatore della presenza divina. Fin dal primo istante dell’incontro tra le due donne si manifesta il segno, fin dal momento che Maria segnala il suo arrivo ed Elisabetta percepisce la voce della parente. Elisabetta, che è al sesto mese, sente agitarsi il bimbo che porta in grembo. Essa è allora ricolma di Spirito santo per poter interpretare questo fatto.

Il bambino “esulta”, Elisabetta “esclama a gran voce”: alla presenza di Maria, sussultano le viscere di Elisabetta. I due bambini si riconoscono prima delle rispettive madri, che pur si conoscevano bene. L’improvviso trasporto da cui è preso il bimbo e l’esclamazione di Elisabetta sottolineano il carattere straordinario dell’influenza dello Spirito. L’azione è immersa in una corrente divina, in un clima di intervento soprannaturale eccezionalmente potente. All’arrivo di Maria, già inabitata dalla presenza divina, lo Spirito riempie Giovanni Battista, e perfino sua madre. Elisabetta parla qui come madre del precursore. Già lo stesso Giovanni Battista esulta e rende testimonianza. Nelle intenzioni teologiche di Luca, la scena anticipa l’incontro tra il messia e il precursore all’inizio del Vangelo.

L’elogio di Maria da parte di Elisabetta (vv. 42-45)

Le parole attribuite ad Elisabetta costituiscono un discorso profetico, perché ispirate dallo Spirito santo: esse riconoscono la venuta del Messia, fondamento della dignità di sua madre. “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo”: è il grido di meraviglia e di gioia di fronte a un essere che Dio ricolma del suo favore, nel quale dimostra la munificenza del suo amore. Maria, con la sua obbedienza alla Parola, ha annientato e vinto il nemico. E poi benedice il frutto delle sue viscere, radice di ogni benedizione. Elisabetta associa in una stessa lode Maria e suo Figlio. Nel contesto generale del Vangelo, la portata dell’accostamento è chiara: Maria è benedetta a causa del suo Figlio, beneficiario lui stesso per eccellenza della compiacenza divina.  “A che debbo che la Madre del mio Signore…”: al grido di benedizione per il dono ricevuto, si accompagna il senso di meraviglia: come mai a me questa grazia? La visita del Signore evidenzia la nostra indegnità. Invece di orgoglio, provoca umiltà. Ma tale costatazione, invece di deprimerci, ci rende contenti e capaci del dono: ne fa brillare il carattere immeritato e ne fa vedere la sublimità proprio dalla profondità del demerito. L’umiltà e la gioia accompagnano sempre la conoscenza e l’amore di Dio: sono il suo biglietto da visita. La frase centrale del discorso di Elisabetta serve ad introdurre il titolo supremo di Maria: madre del Signore. Elisabetta riconosce nella sua giovane parente la madre del messia nella sua dignità regale, essa proclama la venuta dello stesso messia. Nel prosieguo della frase si spiega come Elisabetta abbia potuto riconoscere tale dignità in Maria: il fatto è che il sussulto del bimbo all’arrivo della Vergine è ora interpretato, sotto l’impulso dello Spirito santo, come un moto di gioia, di letizia, ed è indicato con un termine caratteristico della gioia messianica ed escatologica. Il bambino ha sussultato di gioia, e il motivo della sua esultanza era la venuta del messia-Signore.

“E beata colei che ha creduto” (v. 45): le ultime parole di Elisabetta ricorrono allo stile della beatitudine, per integrare la lode della madre del Signore con il motivo della fede. L’affermazione magnifica la fede di Maria in antitesi voluta con le parole dell’angelo di fronte all’incredulità di Zaccaria: beata la Vergine che, al contrario di Zaccaria, ha creduto nella Parola di Dio, che si compirà a suo tempo. Questo contrasto sottolinea di nuovo la superiorità del messia e della sua madre sul precursore e sui suoi genitori. La fede fa parte integrante della dignità della Madonna: è sul fondamento della sua fede che la Vergine sta per diventare, secondo la promessa dell’Annunciazione, la madre del Signore.                                                                 

Bibliografia consultata: Jacquemin, 1972; Fausti, 2011.

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