Migrante e clandestino, non è solo questione di parole

di Massimo Persotti

Per Salvini e i suoi sono sempre e solo 'clandestini'. Altro che migranti. Anzi, "migrante è un gerundio", ha tuonato qualche giorno fa in tv, sfidando non solo forme e buon senso, ma addirittura – per taluni intenzionalmente – la grammatica italiana, consapevole che il suo elettorato è ben più sensibile all'ondata emozionale della 'invasione' di chi "si nasconde di giorno, s'intrufola" (significato etimologico di 'clandestino') piuttosto che ad una regola di nostra madre lingua.

Sì, è vero, clandestino non è un termine giuridico spiega il glossario del Consiglio italiano per i rifugiati – è usato dai mezzi di comunicazione e da molti politici "per definire, e stigmatizzare, i migranti irregolarmente presenti sul territorio". Non solo. Spesso gli stessi addetti ai lavori faticano a farsi largo in una giungla lessicale dove si incrociano e confliggono termini come profugo, rifugiato, migrante, immigrato, clandestino, richiedente asilo.

Salvini lo ha ribadito anche su Facebook: "Posso chiedere un favore a voi, amici, e ai giornalisti? Non chiamiamoli migranti o profughi. Chiamiamoli, perché tali sono fino a prova contraria, clandestini. Siete d'accordo?". Il 'popolo leghista' non ha certo dubbi. Perché migrante prevalga invece contro ogni scetticismo, sarebbe buona cosa che l'accordo semmai lo trovino l'Europa e i Paesi membri nel dare una risposta unica ed efficace al continuo esodo di uomini e donne che lasciano le proprie terre in cerca di un futuro migliore.

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