Cronaca

Morti sul lavoro, oggi come 100 anni fa a Colleferro, alla Bombrini Parodi Delfino

La strage di Brandizzo, con i 5 operai morti per un disguido, accende i riflettori sui già 450 morti sul lavoro del 2023. Se ne parla ma non si fa nulla né per rendere la giustizia più rapida ed efficace, né per dare più sicurezza a chi lavora. Il fatto è che lavoro, scuola, sanità e ambiente necessitano investimenti a lungo periodo e “non rendono” in termini di voti immediati per le prossime scadenze elettorali.

La notte tra il 30 e il 31 agosto un tragico incidente è accaduto alla stazione di Brandizzo, nei pressi di Chivasso, sulla linea Torino-Milano. Cinque operai del servizio manutenzione sui binari, sono stati investiti da una motrice addetta alla movimentazione dei vagoni, che passava, sembra, a 160km/h. Altri due operaio che lavoravano lì vicino si sono messi in salvo all’ultimo istante. Le cinque vittime, tutti dipendenti della società Sigifer di Borgo Vercelli, sono: Kevin Laganà, 22 anni; Michael Zanera, 34 anni; Giuseppe Sorvillo, 43 anni; Giuseppe Aversa, 49 anni; Saverio Giuseppe Lombardo, 52 anni.

Avrebbero dovuto attendere il passaggio dl treno, qualcuno non li ha informati

Il sindaco di Brandizzo, Paolo Bodoni, è stato tra i primi a sopraggiungere sul luogo dell’incidente: “Le prime informazioni che mi sono arrivate riferiscono di una scarsità di comunicazione tra la squadra e chi doveva segnalare il passaggio del treno, ma bisogna vedere che cosa veramente è successo. C’è anche la questione della velocità del treno su cui si dovranno compiere verifiche.” Sembra infatti che i 5 lavoratori non avrebbero dovuto trovarsi lì, ma attendere il passaggio del convoglio ferroviario.

Per questo la Procura di Ivrea, secondo l’AdnKronos,  sta valutando l’ipotesi di dolo eventuale per i reati di disastro ferroviario e omicidio plurimo. Al momento il fascicolo rimane contro ignoti, ma a breve potrebbero esserci le prime iscrizioni nel registro degli indagati.  Dalle indagini coordinate dal procuratore capo di Ivrea, Gabriella Viglione, sarebbero emerse violazioni gravi della procedura di sicurezza nel momento immediatamente precedente all’incidente, che fanno dire agli investigatori che “l’evento poteva essere evitato se la procedura fosse stata seguita regolarmente”. Più nel dettaglio, gli accertamenti avrebbero evidenziato che in quel momento non ci fosse l’autorizzazione a lavorare, che deve essere fatta per iscritto, benché ci fosse personale preposto a verificare che l’autorizzazione dovesse esserci.  

La giustizia penale, sugli incidenti sul lavoro, non fa più paura a nessuno

Indagini, accertamenti, carte, testimonianze, fatto sta che 5 persone sono morte sul posto di lavoro. Una disattenzione, un errore di superficialità, di incuranza, leggerezza, succede ma quando succede in un cantiere c’è chi ci rimette la pelle.

Non sono per nulla sorpreso” della strage sul lavoro a Brandizzo, afferma Raffaele Guariniello, ex pm dell’inchiesta sul rogo alla ThyssenKrupp di Torino del 2007, in un’intervista al Fatto Quotidiano. “Il messaggio che avevamo dato al paese, con il processo Thyssen, ormai è andato smarrito”. Gli incidenti sul lavoro continuano a registrarsi agli stessi ritmi degli anni precedenti perché, secondo l’ex magistrato: “la giustizia penale, in tema di sicurezza sul lavoro, non fa più paura a nessuno”. Tradotto, non si rischia più tanto a non rispettare le regole.

Sempre di più quei processi, per omicidio colposo o lesioni personali colpose – spiega Guariniello -, finiscono con la prescrizione. E tutto ciò perché non esiste una struttura della giustizia penale dedicata a questi reati. Con magistrati preparati ed esperti su quei temi”.

Serve una procura nazionale per la sicurezza sul lavoro

Chi dovrebbe eseguire le ispezioni non lo fa o non c’è più. “La prevenzione, continua Guariniello,è diventata difficile, così come la mancanza di deterrenza delle condanne per chi viola le norme”. Secondo Guariniello serve “una procura nazionale per la sicurezza sul lavoro”. “Ho mandato questa proposta all’attuale governo e anche a quelli precedenti, la risposta è sempre stata la stessa: il silenzio”. Ora si cercherà il capro espiatorio, e certamente se ci sono responsabilità oggettive è giusto e ovvio che lo si faccia.

Ma c’è una responsabilità politica delle amministrazioni locali e nazionali che, come in altri settori della salvaguardia del territorio, della difesa dell’ambiente, della sanità e della scuola, anche sulla sicurezza sul lavoro latita. Non sono temi che portano voti in tempi brevi. Sono problematiche che richiedono investimenti a lungo termine e nessun vantaggio per la politica che vive sull’immediatezza, sulle scadenze elettorali, sulle leggi di bilancio annuali. In altre parole, di scuola, sanità, ambiente e lavoro “non gliene pò fregà de meno” avrebbe detto Corrado Guzzanti, in arte “Quelo”, se trovasse ancora spazio sulle emittenti nazionali una critica pungente e chiara all’inerzia del potere.

Incidenti gravi del passato: a Colleferro l’esplosione alla Bombrini Parodi Delfino

Raramente i mass media mettono in risalto le morti sul lavoro. Sono notizie tristi e che non hanno l’appeal della cronaca nera, dove c’è un assassino e delle storie thrilling da raccontare che solleticano la fantasia morbosa dei conduttori e del pubblico. In Italia però sono successi incidenti che hanno destato emozione. Il 7 giugno 1918, a Bollate, morirono 59 operai della fabbrica di munizioni Sutter&Thévenot ma nello stesso periodo perdevamo circa 90.000 soldati nella Battaglia del Solstizio e morivano milioni di civili e militari per la guerra.

Lo scoppio a Colleferro

Il 29 gennaio 1938 a Colleferro, nella fabbrica Bombrini Parodi Delfino un’esplosione di tritolo causò 60 morti e 1.500 feriti.

“Alle ore 7.55 di sabato 29 gennaio 1938, il tremendo boato scuote profondamente tutta la città. Lo scoppio dei reparti per la produzione del tritolo, dello stabilimento di esplosivi Bombrini Parodi Delfino, cambia la vita delle 59 famiglie delle vittime, dipendenti della società BPD. Casa 212, simbolo e ricordo indelebile per i colleferrini, divenne abitazione di tanti bambini rimasti orfani di padre o di madre in quella tersa e fredda mattina di gennaio del 1938 (La Casa degli Orfani)”.

Il 6 dicembre 2007 ci fu l’incidente della Thyssen Krupp a Torino, dove otto operai vennero coinvolti in un’esplosione che ne uccise sette. All’estero questo tipo di incidenti sono la norma nei Paesi del Terzo Mondo. Nel 2013, il 24 aprile, a Dacca, nel Bangladesh, crollò un edificio di otto piani nel quale lavoravano più di mille operai delle fabbriche di abbigliamento, quelle in cui ditte occidentali pagano un euro a persona, per una giornata di lavoro!

Sono già 450 i morti sul lavoro nella prima metà di quest’anno

Ogni settimana 17 persone in Italia, escono di casa per andare al lavoro e non tornano più.

Nei primi sei mesi del 2023 si sono registrati 450 morti sul lavoro. Di questi 346 sono gli infortuni mortali sul luogo di lavoro e 104 quelli “mentre si recavano a lavorare“. I dati sono stati pubblicati dall’Osservatorio sicurezza sul lavoro e ambiente Vega. Nel 2023 aumenta l’incidenza di mortalità dei giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni, quasi il 100 per cento in più rispetto a quelli della fascia tra i 25 e i 34 anni. Tra le altre cose, l’Osservatorio produce una mappa su base regionale: in alcune Regioni si muore più che altrove e alcune categorie sono più esposte di altre. 

Giunti a metà anno il bilancio è ancora drammatico – dice il presidente dell’Osservatorio di Vega Mauro Rossato -. Nel corso dei 14 anni in cui monitoriamo quotidianamente l’emergenza, constatiamo mese dopo mese come la situazione sia grave, anzi gravissima. E a testimoniarlo, purtroppo, è il numero dei decessi in occasione di lavoro, che rimane stabile negli anni. Ciò significa che il livello di sicurezza raggiunto negli ambienti di lavoro non è sufficiente a tutelare la vita dei lavoratori“.

A morire di più sono gli immigrati, il doppio degli Italiani

A morire sono di più gli stranieri e quando diciamo stranieri non parliamo di persone del Nord Europa ma di africani, asiatici, latino americani, o lavoratori proveniente dall’est Europa. Il loro rischio infortuni è il doppio di quello degli Italiani, con un’incidenza di mortalità di 25,3 contro 13,8. Le denunce sono però in diminuzione, -22,4% rispetto a giugno 2022 a causa di minori “infortuni per i fermi del periodo covid“. Riguardo i settori lavorativi, il manifatturiero rimane il più colpito dagli infortuni (35.503). Per i decessi invece, nei primi sei mesi del 2023 è sempre il settore trasporti e magazzinaggio a registrare il maggior numero di decessi in occasione di lavoro: sono 50. Seguito dalle costruzioni (39), dalle attività manifatturiere (37) e dal commercio (27).

Il rischio di morte, regione per regione nel primo mese dell’anno vede in zona rossa, con un’incidenza superiore a +25 morti sul lavoro  rispetto alla media nazionale (1,5 morti per milione di lavoratori) le regioni Umbria, Marche, Puglia, Lombardia e Piemonte.  Seguono con incidenza minore la Sardegna e con ancora meno incidenza Veneto, Toscana, Campania. Mentre sono in zona bianca, ovvero regioni a basso rischio l’Emilia e Romagna, Sicilia, Lazio, Abruzzo, Basilicata, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Molise, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta.

Una guerra strisciante di cui non importa niente alla politica

Sono “crimini di pace”, come li ha definiti Bruno Giordano, magistrato già alla guida dell’Ispettorato nazionale del lavoro o “un conflitto minore”, come ebbe a definirli George Orwell nel 1936 dopo un reportage sulle miniere inglesi. Una guerra nascosta, silenziosa, che si combatte nel nostro Paese e che tocca le famiglie, privandole spesso della figura paterna e riservando loro un problema socio economico drammatico. Una guerra di cui la stampa poco si interessa, che non fa audience nei dibattiti televisivi, dove la parola d’ordine è “la gente ha voglia di divertirsi”.

Forse loro hanno voglia di divertirsi, la gente che non arriva a fine mese con gli stipendi più bassi d’Europa e con l’inflazione che comunque danni ne fa e lascia dietro di sé prezzi tutti aumentati, anche quando diminuisce, per questa parte di popolazione il divertimento è da rimandare.  Il problema è enorme e solo perché abbiamo una classe politica ormai distante dai problemi della società, che non viene presa seriamente in conto. Intervenire per obbligare al rispetto delle norme di sicurezza con pene certe e dissuasive, e con fermezza fa aumentare il costo per le imprese. Ma si deve trovare una soluzione perché morire a 20 anni per un disguido mentre si lavora, non è più ammissibile.

Carlo Raspollini

Autore e regista televisivo, responsabile marketing, consulente gastronomo e dello spettacolo, viaggiatore.

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