Pregare sempre

Per avere fede fino al suo ritorno

Gesù ha appena terminato di rispondere ai farisei che lo avevano interrogato sulla venuta del Regno di Dio, che subito invita i suoi discepoli a pregare sempre, senza mai stancarsi, perché il Figlio dell’Uomo al suo ritorno possa ancora trovare la fede sulla terra. Si deve pregare sempre, perché ogni momento è quello della sua venuta. Si può pregare sempre, perché la preghiera non si sovrappone a nessuna azione. L’azione che non nasce dalla preghiera è come una freccia scoccata a caso da un arco allentato: senza fine e senza forza, non può raggiungere il suo bersaglio. La preghiera è importante perché è desiderio di Dio. E il desiderio di lui è il più grande dono che ci sia stato fatto. Dio, essendo amore, altro non vuole che essere desiderato. La preghiera deve essere continua. Il suo fine non è quello di cambiare Dio nei nostri confronti, ma noi nei suoi, facendoci passare dal desiderio dei suoi doni, al desiderio puro di lui.

A dimostrazione della necessità della preghiera, racconta ai discepoli la parabola del giudice iniquo (Lc. 18, 1-8). Il personaggio principale del racconto parabolico è il giudice di una piccola città, in cui può permettersi di rendere giustizia a modo suo, senza appello. Viene descritto il suo pensiero profondo (“non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno” v. 2), perché rappresenta la molla del racconto: non c’è speranza alcuna di vederlo rendere giustizia. E’ la persona peggiore che ci possa essere: senza religione e senza pietà.

Davanti a lui sta una vedova: la sua stessa condizione sociale di vedova, insieme a quella degli orfani, ne faceva il tipo della persona senza difesa. Per l’evangelista ella rappresenta la Chiesa, alla quale è stato sottratto lo sposo e non sa quando tornerà. Vive sola e afflitta, invocandone il ritorno. Ripetutamente viene a trovare il giudice e gli presenta la sua richiesta estremamente semplice: “Fammi giustizia contro il mio avversario” (v. 3). Quale è il motivo della causa, oppure, se la sua richiesta è legittima, e, infine, chi è l’avversario: di tutto ciò, la parabola non ci dice nulla.
Tutto il racconto è imperniato su un unico punto: il giudice tira per le lunghe l’affare, senza tener conto delle esortazioni tradizionali della Legge, tendenti a far valere il diritto della vedova, a non permettere che venga oppressa, a renderle giustizia. “Per un po’ di tempo egli non volle” (v. 4). E’ l’esperienza comune a chi prega: Dio resiste a lungo a ogni supplica, si nasconde nel tempo dell’angoscia, non se ne cura e sembra dimenticare i miseri.

E’ forse insensibile e sordo, si domanda con angoscia il credente? Egli non esaudisce i nostri desideri di cose, perché nasca in noi il desiderio di lui.
Ma finalmente il giudice si decide a giudicare. Ne rivela i motivi in un monologo interiore che non ha nulla di analisi psicologica, ma rappresenta un procedimento classico delle parabole per dare il senso dell’azione. Il suo dialogo interiore mette in luce l’assenza di motivi validi: agisce per puro egoismo, perché la donna lo annoia e ritornerà continuamente a rompergli il capo. Mettiamo in evidenza la sobrietà della parabola, la semplicità dell’azione, il carattere tipico dei personaggi, l’assenza di ogni particolare descrittivo: tutto concorre all’azione.

L’applicazione (vv. 6-8)
Questa parabola è seguita da una applicazione che ne mette in risalto il significato. Chiamando Gesù “il Signore” (v. 6), Luca ne vuole sottolineare l’autorità all’inizio di un insegnamento importante. Definendo “disonesto” il giudice, previene ogni equivoco nel paragone col giusto giudice (Dio): la parabola è tutta focalizzata sull’azione del giudice, non sulla sua persona, che dunque non rappresenta Dio. L’applicazione inizia con una esclamazione appassionata: a maggior ragione Dio farà giustizia ai suoi “eletti”(v. 7), se perfino un giudice disonesto è stato in grado di venire incontro ad una povera vedova. Gli eletti sono quelli che pregano sempre. La venuta del Signore e del suo regno è frutto della preghiera. Dio non può essere insensibile al grido della vedova, soprattutto se è la “sua” vedova. Il ritorno del Signore è legato alla preghiera, ed è l’oggetto primo dell’invocazione. La preghiera dell’umile non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto, rendendo soddisfazione ai giusti e ristabilendo l’equità. L’unica spiegazione del ritardo del ritorno del Signore è la sua benevolenza verso di noi: attende che tutti lo attendiamo.
E il Signore non farà aspettare a lungo i suoi fedeli che invocano da lui giustizia, perché gliela renderà presto. Il giudice di tutta la terra non può non fare giustizia, il Signore non può non venire, lo sposo non può non tornare. La certezza della sua venuta si fa esortazione a noi, perché lo desideriamo e supplichiamo nella preghiera, senza stancarci.

La giustizia sarà resa prontamente a quanti la chiedono: ma nell’ultimo giorno ci sarà ancora la fede-fedeltà? Il Signore, per il suo ritorno, esige una fede come quella della vedova. Tale fede, che si fa preghiera incessante, è il nostro sì alla sua venuta. Grande è la sua paura di non trovare fede e non poter venire. L’amore muore per il desiderio di essere desiderato. La stessa preghiera, soprattutto quella eucaristica, è già sempre un incontro con lui nella fede. Essa, inoltre, consiste nell’adesione vissuta al messaggio evangelico e a cui bisogna credere; si tratta di un impegno verso il Signore, vissuto nella fedeltà concreta della testimonianza e della vita, nella costanza della preghiera (v. 1).

Il pensiero di Luca e quello di Gesù
Luca interpreta la parabola in prospettiva della fine della storia, del giorno finale della venuta del regno di Dio. In questo, egli rimane fedele alla prospettiva originale di Gesù, quando accenna al Figlio dell’Uomo se troverà ancora la fede su questa terra. Luca vede nella parabola un invito alla preghiera perseverante, un insegnamento questo che gli è caro. Gesù, invece, mette in evidenza il comportamento del giudice e il ritardo del giudizio. L’ultimo versetto è un’esortazione alla fede, per Luca; per Gesù esso esprime la sua angoscia di responsabile della salvezza del popolo. Luca custodisce fedelmente la tradizione delle parole di Gesù, cercando di rispondere alle necessità della chiesa del suo tempo.

Bibliografia consultata: George, 1976; Fausti, 2011.

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