Religione, “Anche voi tenetevi pronti”

di Il capocordata

Il brano evangelico (Lc. 12, 32-48) di questa domenica contiene insegnamenti preziosi riguardanti la sequela e il valore da attribuire al tempo della vita terrena. Dopo aver più volte invitato i discepoli a liberarsi dalle preoccupazioni mondane, Gesù rivolge un appello carico di affetto e di consolazione: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il regno di Dio” (v. 32). La ricerca del regno di Dio richiede da parte dei discepoli non pochi sacrifici: sia perché comporta inevitabilmente delle rinunce, sia perché chiede di andare controcorrente, innescando tensioni col mondo circostante.

Poiché tali conseguenze potrebbero generare nel cuore dei discepoli sentimenti di sfiducia e di paura, Gesù ricorda che i loro sforzi e i loro sacrifici non sono vani. I discepoli non devono aver paura, ma anzi, in forza della relazione di figliolanza con Dio, possono essere certi che il regno tanto desiderato, ancor prima che essi lo ricerchino, è un dono del Padre, il quale si compiace così di realizzare il suo disegno di salvezza per l’umanità. Quindi, anche se la comunità di Gesù, a causa della fedeltà al Vangelo, assomiglia a un piccolo gregge minacciato dalle grandi potenze del mondo e della storia, non deve però cedere alla tentazione di sentirsi abbandonato da Dio.

“Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore” (v. 34)

Gesù invita i discepoli a riporre la propria fiducia in Dio e non nelle ricchezze. Di per sé il Vangelo non condanna la ricchezza in se stessa, ma l’attaccamento (la cupidigia) a essa da parte degli uomini, che in tal modo si illudono di essere al sicuro, immuni da qualsiasi pericolo. Il cristiano è invitato a spostare il baricentro del proprio cuore dai forzieri e dalle banche, dove il soldi arrugginiscono e marciscono e dove i ladri prima o poi metteranno le mani, al vero tesoro che non marcisce mai e che nessuno potrà mai depredare, che è il prossimo, in particolare i poveri e i più bisognosi, con i quali Dio ama identificarsi.

“Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese” (v. 35)

L’immagine dei fianchi cinti evoca l’operosità che deve caratterizzare l’attesa dei discepoli. La menzione delle lampade accese ricorda il memoriale della Pasqua ebraica, il cui rito si celebrava di notte. La comunità dei credenti è invitata a vivere nell’attesa operosa del Risorto, così da essere trovata pronta quando egli ritornerà. Tale è il motivo per cui il Maestro invita i discepoli a essere simili a quei servi che vegliano nella notte per aspettare il ritorno del loro padrone: il “padrone” (kyrios) è Gesù; la partenza rimanda al mistero della risurrezione; il ritorno imprevedibile allude al “ritorno finale” e l’atmosfera gioiosa fa pensare alla partecipazione al regno di Dio.

“Beati quei servi” (v. 37): la breve parabola si conclude con una nota di gioia, di beatitudine. Che i servi vengano ricompensati per la loro fedeltà è comprensibile, ma il gesto di servizio compiuto dal padrone (Gesù), improvvisamente divenuto “servitore” (diàkonos), sorpassa ogni legittima aspettativa. In questo consiste l’essenza della beatitudine promessa dal Maestro: nel saper sapientemente trasformare la propria vita in dono a servizio degli altri, come lui ha insegnato e testimoniato in vita e in morte.

L’esortazione alla vigilanza prosegue con un secondo breve detto parabolico, mediante il quale Gesù invita i discepoli a tenersi pronti perché il Figlio dell’uomo verrà senza preavviso, come un ladro di notte. “Anche voi tenetevi pronti” (v. 40): essere pronti significa vivere un’attesa tutt’altro che passiva, nella consapevolezza che, in quanto discepoli del Risorto, siamo costantemente sollecitati a scegliere tra due vie, quella del bene, che porta alla salvezza, e quella del male, che provoca solo distruzione. Così, o si vive ripiegati sui propri interessi egoistici, cercando in tutti i modi di arricchire per se stessi, oppure si vive nella consapevolezza di dover arricchire presso Dio a favore del prossimo, prodigandosi per il bene degli altri.

“Allora Pietro disse: Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?” (v. 41)

La domanda riflette una concezione di Chiesa in cui alcuni ricoprono un ruolo di responsabilità nei confronti di altri, fattore che sembra presupporre per i “capi” un genere di comportamento diverso rispetto a quello riservato al resto della comunità. Gesù risponde con due parabole antitetiche: parla di un “amministratore fidato e prudente”, ma anche di “un servo”, a significare che nessuno può avere l’ardire di ritenersi superiore agli altri.

E’ facile, Signore Gesù, che l’attesa del tuo ritorno si spenga, che la speranza venga meno e che ci si stanchi di lavorare per un mondo nuovo che ancora non vediamo all’orizzonte. E’ facile, Signore Gesù, lasciare che sia l’egoismo a dire sempre l’ultima parola, l’individualismo a dettar legge. Signore  Gesù, accendi le nostre lampade perché non viviamo immersi nel buio, incapaci di distinguere il bene dal male; ridesta il nostro sguardo perché possa cogliere la strada da te tracciata e guidare i nostri passi per le tue vie; libera la nostra vita da tutto ciò che la tiene imprigionata, incatenata ai suoi idoli.                                                                              

Bibliografia consultata: Gennari, 2019; Laurita, 2019.

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