Maria è figura del credente che non esige, ma si affida a Dio; non pretende per sé, ma fa dono di se stessa al Signore, fidandosi della sua parola (Lc. 1, 38). Il concepimento di Elisabetta è la prova che a Dio tutto è possibile (vv. 36-37): la sua parola rende fecondo il grembo sterile, e suscita gioia laddove era subentrata la rassegnazione per l’impossibilità di generare vita. L’angelo aveva invitato Maria a cogliere nella gravidanza di Elisabetta il segno dell’intervento divino nella storia; la promessa sposa di Giuseppe consegna se stessa nelle mani di Dio, si fida della sua parola e si mette in viaggio speditamente, attraversando la regione montuosa della Giudea per raggiungere la sua parente (v. 39).
Il brano della IV Domenica di Avvento (Lc. 1, 39-45) descrive non tanto l’incontro tra le due donne, Maria ed Elisabetta, ma tra i due nascituri, Giovanni e Gesù: la profezia e il compimento, la voce e la parola. L’incontro tra le due madri non è dettato da motivazioni umane: Maria non ha esigenza di constatare la verità delle parole dell’angelo Gabriele, né è sollecitata a portare sostegno alla parente più anziana, come dimostra il fatto che fa ritorno a casa prima del parto. La visita risponde, invece, a un preciso disegno teologico, che culmina nell’effusione dello Spirito che si posa su Elisabetta, così come precedentemente aveva avvolto Maria (v. 35).
Entrata in casa di Zaccaria, l’anziano sacerdote a cui era apparso un angelo preannunciando la prossima nascita di un figlio e che era rimasto muto a motivo della sua incredulità (v. 20), Maria rivolge il suo saluto a Elisabetta (v. 40). L’evangelista Luca omette il contenuto delle parole proferite nei confronti di Elisabetta; colei che porta la Parola divenuta carne nel suo grembo non ha bisogno di pronunciare altre parole, perché la sua presenza è benedizione e dono di pace. Il saluto di Maria sortisce un duplice effetto: nel grembo di sua madre, Giovanni sobbalza di gioia ed Elisabetta è colmata di Spirito Santo (v. 41). Il giubilo del nascituro è motivato dalla presenza del Messia: la sua missione profetica ha inizio sin dal grembo materno, esprimendo nell’esultanza gioiosa l’avvento del Messia e Salvatore.
La presenza dello Spirito Santo in Elisabetta (v. 41) non genera vita, ma apre all’accoglienza della novità di Dio. Colei che le sta di fronte è salutata come “benedetta tra le donne” (v.42), poiché il frutto del suo grembo è “benedetto”. Anche in questo caso, la figura di Elisabetta assume una portata evocativa: Elisabetta riconosce in Maria i segni della benedizione divina riversatasi copiosa su di lei rendendola “madre del Signore”; attraverso di lei, arca dell’alleanza nuova, Dio visita il suo popolo suscitando gioia ed esultanza perché il compimento messianico, di cui Giovanni è stato stabilito precursore, è già in atto (v. 44).
Maria è acclamata come beata non perché scelta da Dio per divenire madre di suo Figlio, ma perché si è fidata della sua parola: “E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto” (v. 45). Ella è indicata come donna-simbolo per tutti i credenti, chiamati ad accogliere e a mettere in pratica la buona notizia (il vangelo) della salvezza.
Una delle linee di riflessione cui il cristiano s’è sempre attenuto è quella in cui le promesse di adempimento della salvezza cristiana si congiungono con le speranze dell’uomo. Questa abolizione di ogni parete fra Dio e l’uomo è qualcosa che costantemente ci scandalizza. C’è nell’uomo una capacità di raccontare la sua religiosità che eleva steccati, pareti, templi, che fanno da schermo a Dio.
In questa ricerca c’è un riflesso di una vocazione originaria: il rapporto di comunione tra l’uomo e Dio. Noi dobbiamo ritrovare l’universalità vera della salvezza nella condizione umana, nell’uomo in quanto tale. La seconda lettura di questa domenica (Eb. 10, 5-10), infatti, ci dice che il vero sacrificio che Dio si è preparato è quello del Figlio dell’uomo. Il corpo del Cristo è il sacrificio che Dio accetta perché egli, il Cristo, fa la volontà del Padre fino all’offerta di se stesso. Per cui, il vero culto a Dio avviene “in Spirito e verità” nel cuore dell’uomo!
Bibliografia consultata: Landi, 2018; Boselli, 2018.
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