Religione

Religione, e pose la sua tenda in mezzo a noi

In questa seconda domenica dopo Natale la liturgia della Parola ci proclama di nuovo il vangelo del giorno di Natale (Gv. 1, 1-18): il Prologo del vangelo di Giovanni.

Una teologia biblica della Parola

Lo sfondo di questo particolarissimo esordio (prologo) è individuabile proprio nella teologia biblica della parola di Dio quale realtà dinamica (compie ciò che dice), che partecipa alla creazione (“e Dio disse”), si manifesta nella storia e viene di frequente personificata nei poemi che hanno per soggetto la Sapienza. Anche il movimento del Verbo nel prologo è un movimento discensionale: dall’essere “presso Dio” (v. 1) al venire al mondo “divenendo carne” (v. 14). Anche il Verbo che viene nel mondo è luce che illumina gli occhi dei cuori di quanti lo accolgono e credono “nel suo nome” (v. 12) perché ricevano un potere inaudito (12): diventare figli di Dio ed essere ri-generati, stavolta “non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio” (v. 13).

Il dualismo luce-tenebra chiarisce la serietà dell’oggetto in questione: accogliere il Verbo non è un’opzione secondaria e ininfluente per la vita del mondo, ma è questione di vita o di morte, in cui ci si gioca il tutto per tutto. E anche la Parola combatterà la sua battaglia contro le tenebre che rifiutano di accoglierla, contro il mondo e “i suoi” (vv. 10-11) che non la riconoscono.

Ma, per quanto drammatico possa essere lo scontro tra il “Logos” (la Parola) e il mondo, la via della rivelazione di Dio all’umanità si è dischiusa una volta per tutte e, inoltre, alcuni non sono mancati all’incontro con la luce che è venuta: questi alcuni sono il “noi” che hanno “creduto nel nome di lui” (v. 12) e all’interno dei quali l’evangelista Giovanni si riconosce: “e noi abbiamo contemplato la sua gloria” (v. 14). Costoro vengono ricreati in una dimensione completamente nuova, che non dipende da potere o volontà umani.

Il Verbo incarnato è il racconto di Dio

L’incarnazione è quindi presentata come il Verbo di Dio che mette la tenda, il tabernacolo, in mezzo al suo popolo (v. 14), scegliendo questa come sua residenza definitiva. Così la prossimità fisica della “carne” del Verbo, il suo “attendarsi”, diventa preludio di una “prossimità relazionale” e di una condivisione totale della nostra umanità. Il Dio della prima alleanza era il Dio invisibile, di cui era stato manifestato solo il nome, insieme all’azione provvidenziale e redentrice nella storia. Ora, in Gesù, il Dio invisibile si è fatto visibile e la pienezza di vita portata dall’accoglienza della libera manifestazione della grazia di Dio è inenarrabile: “Grazia su grazia” (v. 16) ricevono i figli, “grazia e verità” (v. 17) vengono per mezzo di Gesù Cristo.

Il v. 18 chiude mirabilmente questa intensa sintesi teologica che fa da portone d’ingresso al quarto vangelo: “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato”. Torniamo, così, a contemplare ciò che era “in principio”, ossia il Verbo rivolto verso il Padre, il Verbo nel seno del Padre, e poi ripercorriamo tutto il senso della storia della salvezza culminata nell’incarnazione del Verbo, che “svela”, mostra, manifesta, rende visibile quel Dio mai visto da nessuno, neppure da Mosè.

Gesù Cristo è l’unico rivelatore di Dio, l’unico “narratore” del Padre, “icona del Dio invisibile” (Col 1, 15). Siamo di fronte a una concentrazione cristologica che ci porta a cercare, guardare, contemplare Gesù per avere accesso al mistero del Padre. Solo accogliendo questo Gesù possiamo essere resi capaci di condividere la sua relazione con Dio, e questa è l’esperienza che l’evangelista Giovanni vuole offrire ai suoi lettori, la “buona notizia” secondo Giovanni.

La luce vera, quella che illumina ogni uomo

Nel volto di Gesù risplende il volto di Dio perché è “lui che lo ha rivelato, ma il volto di Gesù risplende in quello di ogni persona come dice in modo chiaro il vangelo di Matteo: “Lo avete fatto a me”. “Illumina ogni uomo” è un’affermazione forte perché ci provoca a riconoscere la presenza di Dio in ogni persona, non per nostra scelta ma per obbedienza alla rivelazione stessa di Dio. E’ proprio a partire dal Verbo incarnato che noi cristiani possiamo instaurare una relazione, un dialogo, una fraternità con ogni persona di qualsiasi religione, cultura o lingua.

L’idea dell’illuminazione offre inoltre diversi elementi significativi tra i quali si possono sottolineare quello della libertà e della gradualità. Chi viene illuminato può anche “chiudere gli occhi” oppure nascondersi dall’illuminazione, questo per ricordarci che la grazia di Dio si ferma sempre di fronte alla porta della nostra libertà, non la sfonda mai, ma bussa con discrezione attendendo la nostra accoglienza. L’illuminazione poi è sempre variegata, differenziata e quindi percepibile in modo diverso, dando così la possibilità al nostro discernimento nella bella e difficile arte di cogliere i suoi raggi.

Insieme all’idea della luce è proprio il “farsi carne” del Verbo di Dio che evidenzia l’universalità della salvezza, cioè la scelta di Dio nell’assumere l’alfabeto umano per rivelare se stesso. L’umano infatti è “cosa” di tutti, al di là di ogni cultura e religione. L’umano come risplende in Gesù di Nazaret è il criterio ultimo della salvezza per discernere e valutare ogni esperienza della vita, prima di tutto quella cristiana e poi tutte le altre.

L’incarnazione è il fondamento certo della dignità umana e la persona di Gesù è il punto di incontro e non di conflitto tra persone diverse. Il prologo di Giovanni ci dona la corretta visione nella quale è proprio a partire dalla presenza in mezzo a noi del Figlio di Dio che è possibile incontrarci come suoi figli, fratelli e sorelle tra noi.                                                            

Il Capocordata.

Bibliografia consultata: Guida, 2020; Osto, 2020.

Redazione

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