Religione, Il Padre misericordioso

“Bisognava far festa e gioire”

Nella IV domenica di Quaresima sarà proclamato il Vangelo (Lc. 15, 11-32) del figliol prodigo o del Padre misericordioso. Il c. 15 di Luca è un’unica parabola in tre scene; rivela il centro del Vangelo: Dio come Padre di tenerezza e di misericordia, ben diverso da quello da cui Adamo era fuggito per paura. Egli trasale di gioia quando vede tornare a casa il figlio più lontano, e invita tutti a gioire con lui: “bisogna far festa”. Questa parabola è rivolta al giusto, perché non resti vuoto il suo posto alla mensa del Padre: deve partecipare alla festa che egli fa per il suo figlio perduto e ritrovato. Essa parla della conversione; ma non del peccatore alla giustizia, bensì del giusto alla misericordia. Gesù con questa parabola giustifica il suo atteggiamento verso i peccatori: dimostra loro la stessa benevolenza del Padre. Contemporaneamente invita i giusti a entrare nella sala del banchetto. Sono gli unici rimasti fuori.

“Ora si avvicinavano a lui i pubblicani e i peccatori” (v. 1). Nonostante le strettissime esigenze appena espresse (Lc. 14, 25-35), i pubblicani e i peccatori non desistono dall’avvicinarsi a Gesù. L’ammissione della propria indigenza è l’unica condizione per accogliere il dono di colui che è misericordia e perdono. I pubblicani sono i peccatori della peggior specie, assimilati ai pagani. Sono odiatissimi da tutti perché riscuotono il tributo straniero dal popolo di Dio. I peccatori sono i trasgressori della Legge: sono quei poveri condotti al banchetto del Regno. All’avvicinarsi dei peccatori, fa da eco il brontolare dei giusti che considerano l’atteggiamento di Gesù indecente. Gesù non solo non respinge, non solo tollera, non solo accoglie, ma addirittura mangia con loro, quasi identificandosi con i peccatori.

“Un uomo aveva due figli” (v. 11). Questa parabola è giustamente chiamata “il Vangelo nel Vangelo”: rappresenta il culmine del messaggio di Luca. Parla del banchetto festoso che il Padre fa per rallegrarsi del Figlio morto e risorto, perduto e ritrovato. Più che del “figliol prodigo” o del “fratello maggiore”, è la parabola del Padre. Ci rivela il suo amore senza condizioni per il figlio peccatore, la sua gioia di essere da lui capito come padre e infine l’invito al giusto di riconoscerlo fratello. La parabola ci invita ad essere misericordiosi come il Padre, diversamente restiamo fuori a brontolare del banchetto che Gesù celebra con i peccatori. E’ un invito ai giusti a mangiare il pane del Regno. La conversione non è tanto un processo psicologico del peccatore che ritorna a Dio, quanto il cambiamento dell’immagine di Dio che giusto e peccatore devono fare. Convertirsi significa scoprire il suo volto di tenerezza che Gesù ci rivela, volgersi dall’io a Dio, passare dalla delusione del proprio peccato, dalla presunzione della propria giustizia, alla gioia di essere figli del Padre.

Radice del peccato è la cattiva opinione sul Padre, comune sia al figlio maggiore che al minore. L’uno per liberarsene instaura la strategia del piacere, che lo porta ad allontanarsi da lui nella ribellione, nella dimenticanza, nella alienazione atea e nel nichilismo. L’altro instaura la strategia del dovere, con una religiosità servile, che sacrifica la gioia di vivere. Ateismo e religione, dissolutezza e legalismo, nichilismo e vittimismo sono tutti aspetti che scaturiscono da un’unica fonte: la non conoscenza di Dio. Hanno un’idea di lui come di un padre-padrone: se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo, per tenere schiavi gli uomini (Voltaire); se ci fosse, bisognerebbe distruggerlo, per liberarli (Bakunin).

La parabola, che inizia con il figlio minore e termina con il fratello maggiore, ha come centro la rivelazione del Padre, che ama perdutamente ogni figlio perduto. E’ una esortazione al maggiore, perché riconosca come fratello il minore: solo così può conoscere il Padre,e divenire, come lui, misericordioso. I sentimenti cardini sono: la compassione del Padre per il figlio minore e la collera del fratello maggiore; la festa e la gioia del Padre, che sarà piena quando tutti i figli avranno accolto l’invito. Dio riconosce come figli tutti quanti, sia giusti e sia peccatori, semplicemente perché è Padre. Il giusto riconosce a denti stretti il peccatore come figlio, ma non come fratello suo: è quindi il vero peccatore. Bisogna che riconosca l’altro come fratello, identificandosi con lui. Solo così gioisce dell’amore e della festa del Padre per il Figlio suo perduto e ritrovato.

“Mi leverò e andrò da mio Padre”. Il desiderio del Padre, termine del cammino, è principio del mettersi in moto. Nonostante il suo comportamento di figlio ingrato, lo chiama ancora Padre: possiamo rinnegare il nostro essere figli, ma non il suo esserci Padre, al quale lui non può mai rinunciare. Per questo possiamo comunque tornare a casa sua, per quanto lontani ne siamo andati. Ciò che ci ha allontanati da lui, è in realtà la voglia di essere come lui. L’errore fu ignorare che ciò è dono suo, non rapina nostra.

“Mentre ancora distava lontano, lo vide suo padre, si commosse”. Per quanto lontano, il Padre lo vede sempre: anzi, la vicinanza al cuore è proporzionale alla distanza. La vista è sempre connessa a un sentimento. Vedendo il male del figlio, al Padre si conturbano le viscere, “si commosse”.  La commozione indica l’aspetto materno della paternità di Dio: il suo è un amore viscerale e necessario, che lo rende vulnerabile e sempre disponibile. La paternità di Dio per sé viene dopo la sua maternità: per questa siamo generati e amati senza condizioni, da sempre e per sempre accolti.

“Facciamo festa, perché questo mio figlio era morto e ora rivive”. E’ quanto fa con i peccatori Gesù. E’ la festa dell’eucaristia, la gioia del Padre nel trovare Gesù, il Figlio perduto per noi. Con lui anche il più lontano, che è il più caro, è nella casa del Padre. Per lui, perduto nella morte e ritornato nella luce, il Padre gioisce pienamente. In lui, nel quale tutto è stato fatto, tutto ormai è ricapitolato.

“ora si adirò e non voleva entrare, ora il padre suo, uscito, lo consolava”. L’atteggiamento del Padre è vissuto dal fratello maggiore come morte di tutta la sua vita servile: ma che Dio è questo? Neanche lui è giusto! E non vuole entrare nella gioia di Dio. E il Padre lo consola chiamandolo alla conversione. La conversione del giusto consiste nel convertirsi alla gioia del Padre che ritrova i peccatori. Egli è Padre e ama tutti: ora con il Figlio è uscito lui stesso per invitare tutti a far festa, questa è la salvezza nostra e la gioia piena di Dio!                                                                                                                                               

Bibliografia consultata: Fausti, 2011.

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