Religione, la Pentecoste: lo Spirito santo nella Chiesa

di Il capocordata

“E io pregherò il Padre che vi darà un altro Paraclito…lo Spirito di verità…Ma il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà tutto” (Gv. 14, 16. 26). E’ questa la promessa che Gesù fa ai suoi apostoli nei “discorsi di addio” durante l’ultima cena: il dono dello Spirito santo, dato dal Padre mediante la preghiera di Gesù. Il Paraclito è Spirito di verità in quanto si identifica con la verità e dona la verità, cioè la rivelazione, che essenzialmente è quella di Gesù stesso. Nei discorsi di addio troviamo cinque testi sul Paraclito: Egli viene dal Padre e dal Figlio; è chiamato Spirito di verità e Spirito santo; è presentato con funzioni verso Gesù, i discepoli suoi e il mondo. A Gesù rende testimonianza, perché dirà solo ciò che sente da lui e non parlerà da se stesso; ai discepoli insegnerà ogni cosa e li guiderà in tutta la verità; quanto al mondo, il Paraclito darà testimonianza a favore di Gesù contro la persecuzione e l’odio del mondo. Che cosa significa “Paraclito”? In senso passivo, è un avvocato, chiamato a difesa in tribunale; in senso attivo significa “consolatore”. Con la Pentecoste si apre l’era della Chiesa e, insieme con questa, si apre l’era dello Spirito santo. E’ ancora vero che nella Chiesa di oggi Egli è il grande sconosciuto?

Lo Spirito santo nel piano di Dio

Il concilio Vaticano II, nel decreto sull’attività missionaria della Chiesa (Ad Gentes, 4) ci ha ricordato che “fu dalla Pentecoste che cominciarono gli “atti degli apostoli”, allo stesso modo che, per opera dello Spirito santo nella Vergine Maria, Cristo era stato concepito, e, per la discesa ancora dello Spirito in lui che pregava, Cristo era stato spinto a svolgere il suo ministero”. Lo Spirito santo appare al Concilio, così com’è in realtà, come l’iniziatore di tutti i “cominciamenti di Cristo”, sia nella carne, dalla nascita alla risurrezione, sia nella chiesa alla Pentecoste, sia nella sacra Scrittura con l’ispirazione, sia per mezzo dei sacramenti e soprattutto nell’eucaristia con il segreto della sua azione, come le preghiere eucaristiche mettono bene in evidenza con la duplice invocazione allo Spirito santo, perché il pane e il vino diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo e perché ci riunisca in un sol corpo.

La chiesa, Corpo di Cristo, è il frutto dell’azione congiunta degli apostoli e dello Spirito santo. Ma senza lo Spirito santo come principio della loro azione, gli apostoli non possono niente, poiché solo lo Spirito può convertire i cuori e condurre gli spiriti all’assenso della fede. La vocazione del cristiano consiste nell’essere nel mondo il segno tangibile e lo strumento efficace dello Spirito che vuole rinnovare ogni cosa; come pure la vocazione della chiesa, le cui strutture non hanno senso in se stesse e per se stesse, ma solo in virtù e in funzione e a servizio dello Spirito santo.

La vita secondo lo Spirito

Quando si parla dello Spirito santo, in assenza della concretizzazione storica della sua persona, rischiamo di lasciar fluttuare il nostro pensiero nel vago e attribuirgli ogni espressione dei nostri gusti e delle nostre scelte personali. Ma lo Spirito santo è lo Spirito del Vangelo, delle beatitudini, lo spirito di Gesù crocifisso: “emisit Spiritum”. Se Gesù è il salvatore, il liberatore, allora  lo Spirito viene in noi per liberarci dalla legge (san Paolo) e aprirci alla conversione dell’amore e non del timore. I discepoli del Cristo sono riconoscibili dal fatto che si amano scambievolmente: mentre il frutto dell’odio è la divisione, il frutto dello Spirito è crescita della comunione tra gli uomini.

Lo Spirito è il grande pedagogo della comunione, non solo nella celebrazione sacramentale dell’Eucaristia, ma anche nella vita concreta degli uomini che la partecipazione all’Eucarestia deve nel contempo promuovere ed esprimere.  Di questa comunione noi cristiani, ripieni dello Spirito santo, dobbiamo essere i profeti, e non solo a parole ma anche con la vita. Soltanto lo Spirito di Dio può farci davvero amare gli altri e costituire con essi l’unità di un solo corpo, e senza prescindere da una rigorosa esigenza di verità, da un faticoso apprendimento della libertà e da una fedeltà sino alla morte, perfino alla morte di croce (martirio).      

La ricerca della verità, tanto nella celebrazione eucaristica quanto nella vita, implica una rinascita alla libertà dei figli di Dio: infatti la verità dell’uomo nel piano di Dio esige precisamente che egli superi di continuo le alienazioni (gli idoli falsi del potere, dell’avere e del piacere), generate dal timore e dalla superbia, e acquisti la libertà dell’adozione filiale, dei “figli di Dio”. L’esercizio dell’autorità ha senso nella chiesa solo se mira a promuovere questa autentica libertà degli uomini, diventati figli di Dio in Gesù Cristo. Ogni affermazione dell’autorità che opprima, che rinserri la realtà negli stretti lacci del legalismo e del giuridismo e che operi la divisione anziché promuovere la comunione, si oppone al piano di Dio.

Il vero credente non ricerca né la potenza né la gloria, poiché le sue armi sono quelle stesse di Gesù Cristo. La sua parola e la sua vita sono segni di contraddizione e di fronte a lui ciascuno si rivela in ciò che è veramente. Il discepolo non è superiore al maestro: tutte le potenze di questo mondo, il denaro, il potere, la gloria, si ritrovano unite allorché si sentono contestate dal messaggio liberatore dell’amore che opera per la comunione di tutti gli uomini. L’uomo e la donna che accettano di vivere secondo lo Spirito vivranno, ad imitazione del Cristo, la vocazione dell’umanità in un modo profetico, che consiste nell’accedere alla libertà e all’unità, al di là di tutti gli insuccessi e di tutte le morti che l’umanità conosce.                                            

Bibliografia consultata: Besret, 1970.  

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