Religione, nessun profeta è bene accetto in patria

di Il capocordata

“Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” (Lc. 4, 21): Gesù non commenta per filo e per segno il passo di Isaia letto poco prima (cfr. domenica precedente), ma afferma perentoriamente che quella Scrittura si compie “oggi”. Finalmente nella persona di Gesù è sopraggiunta la salvezza promessa nell’Antico Testamento. In altre parole, la profezia isaiana, che parlava di liberazione, di guarigione e di perdono, in Gesù diviene viva ed efficace. Si noti come Luca mette l’accento sull’annuncio della Parola, esperienza ancora “oggi” fondamentale per la nascita e il consolidamento della fede: chiunque “ascolta” questa Parola può sperimentare la grazia della salvezza operata da Cristo.

“Tutti gli davano testimonianza” (v. 22). L’autorevolezza dell’affermazione di Gesù suscita, almeno apparentemente, una reazione favorevole da parte dei presenti: tutti gli rendono testimonianza e sono stupiti delle parole di grazia che escono dalla sua bocca. Tuttavia lo stupore degli abitanti di Nazareth lascia trasparire l’incapacità di cogliere il nesso tra la “parola di grazia” proferita da Gesù e le umili origini dalle quali egli proviene: “Non è costui il figlio di Giuseppe?” (v. 22). Probabilmente i suoi compaesani si aspettano un segno inequivocabile che possa fugare ogni dubbio. Gesù intuisce i loro pensieri e risponde con due detti.

“Medico cura te stesso…” (v. 23). Il significato del proverbio potrebbe essere: fa qui, a casa tua, quello che hai compiuto altrove, cioè a Cafarnao. Gesù però rifiuta tale richiesta e, con solennità, introduce il secondo proverbio: “In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria” (v. 24), attribuendosi così implicitamente il titolo di profeta e richiamando in maniera significativa la tradizione secondo cui i veri profeti spesso incontrano il rifiuto di gran parte del popolo a cui sono stati inviati.

La vicenda di Elia e di Eliseo (vv. 25-27)

Gesù poi prosegue richiamando le vicende di Elia ed Eliseo, per mostrare le conseguenze del rifiuto del messaggio profetico. Il confronto con le storie dei due grandi profeti dell’Antico Testamento contiene un monito molto serio: coloro che presumono di essere dei privilegiati per il solo fatto di conoscere Gesù rischiano pericolosamente di essere esclusi dalla salvezza che lui è venuto a portare, mentre altri, lontani, ne diverranno i destinatari.

Per quanto riguarda Elia, Gesù sottolinea che nessuna vedova in Israele ricevette conforto dal profeta, se non una vedova a Zarepta, una città del nord di Israele collocata tra Tiro e Sidone. Nel libro dei Re (cc. 17 e 18) leggiamo che, pur trattandosi di una donna pagana, essa credette alla parola del profeta. Paradossalmente: c’è più fede in una straniera che in tutto Israele nel suo insieme.

Tale provocazione ritorna nel racconto della guarigione del lebbroso da parte di Eliseo: Naaman, un lebbroso non israelita, viene guarito obbedendo all’ordine del profeta di immergersi sette volte nel fiume Giordano. Il confronto posto da Gesù tra la sua missione e l’operato di Elia ed Eliseo suscita una reazione negativa da parte dei compaesani: “All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno” (v. 28). Mossi dallo sdegno, i nazaretani si sollevano e cacciano Gesù fuori della città, con l’intenzione di ucciderlo buttandolo giù dal promontorio.

Il desiderio di eliminare Gesù può sembrare eccessivo, ma occorre ricordare che la lapidazione era realmente praticata nei confronti di coloro che venivano sorpresi in flagrante violazione della Legge, compresi i falsi profeti. D’altra parte, l’evangelista Luca ha già detto che Gesù sarebbe stato un segno di contraddizione per molti in Israele.

L’esito della vicenda è sorprendente: “Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino” (v. 30). Tale conclusione va intesa nel suo significato teologico: l’ora di Gesù non è ancora giunta, il cammino è ancora lungo ed è volontà del Padre che egli proceda nel compimento della sua missione. L’incidente accaduto nella sinagoga di Nazareth costituisce il primo di una lunga serie di ostacoli che Gesù incontrerà lungo il percorso che lo condurrà a Gerusalemme.

Gesù viene presentato come il Messia annunciato dai profeti, che con la sua parola e le sue azioni inaugura la manifestazione definitiva del Regno e della salvezza di Dio. Alcuni accoglieranno il suo messaggio, altri invece no. Eppure, nell’esito drammatico dell’episodio di Nazareth emerge un elemento di speranza: nulla può impedire a Dio di realizzare il suo progetto di salvezza per l’umanità, nemmeno un rifiuto così radicale come quello espresso dai concittadini di Gesù.

Bibliografia consultata: Gennari, 2019

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