Religione, Vendi quello che hai, poi vieni e seguimi

di Il capocordata

Il racconto dell’incontro con il giovane ricco (Mc. 10, 17-30) segna un ulteriore avvicinamento alla meta del viaggio di Gesù: a Gerusalemme Gesù sarà acclamato figlio di Davide, e quindi re; e questo sarà anche il titolo inchiodato sulla sua croce.

L’incontro con il ricco

Un tale corre verso Gesù e si getta in ginocchio davanti a lui, quasi ostruendogli il cammino, lo chiama “Maestro buono” e ansiosamente gli chiede come fare per entrare nell’eredità della vita eterna. Potrebbe essere entusiasmo, potrebbe essere sofferta ricerca esistenziale, potrebbe essere il tentativo di vedere Gesù e avere un po’ della sua attenzione, sapendo quanto è richiesto dalle folle. La risposta di Gesù mostra una qual presa di distanza dall’irruenza con cui quell’uomo si rivolge a lui: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo” (v. 18). E gli indica la via tradizionale che conduce alla vita: “Tu conosci i comandamenti…” (v. 19). E’ solo alla sua reazione che Gesù sente in qualche modo l’ansia del suo cuore (“Maestro tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza” v. 20). Gesù si vede in qualche modo rispecchiato, desiderato e gli dà l’indicazione più vera e sentita: "vendi tutto, dài soldi ai poveri, poi vieni, seguimi" (v. 21).

Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò” (v. 21). L’evangelista Marco enfaticamente descrive all’esterno lo sguardo, mentre all’interno il moto del cuore di Cristo, quasi a mettere sull’altro piatto della bilancia la nuova relazione che il Maestro offre a quell’uomo. Sembra che la via mostrata sia duplice, e tra le due non vi sia una grande connessione: il primo invito si riferisce alla domanda del ricco, e le dà una soluzione, per quanto inaudita, che si pone all’interno della sua domanda: vuoi la vita eterna? Vendi e dài tutto ai poveri.

“Poi vieni e seguimi” (21): sembra quasi che la sequela di Cristo sia uno dei diversi modi possibili di passare il tempo che separa dal godimento del tesoro in cielo; oppure che sia l’unica cosa che conta, la vera vita eterna, di fronte alla quale i calcoli del ricco e la sua logica di investimento non valgono molto. E’ da notare che vendere e distribuire il ricavato è più doloroso che regalare. Gli oggetti venduti si spersonalizzano, tutta la loro carica relazionale si perde nel vuoto valore monetario. Chi riceve i soldi non sa che cosa si nasconde in essi.

“Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni” (v.22). Il ricco se ne va scuro in volto: lo sguardo di Gesù non gli ha aperto gli occhi del cuore su nuove incantevoli ricchezze. Gli hanno parlato, lo hanno fissato negli occhi le cose che aveva, anche se ormai senza luce.

Il commento di Gesù e la successiva sgomenta domanda degli apostoli ( “E chi può essere salvato?”) mettono in chiara luce quanto sia difficile, impossibile per l’uomo, abbandonare davvero tutto, incluso l’atto stesso di abbandonare. Questo può essere realizzato solo da Dio. E’ proprio a partire da questa impossibilità che acquistano ulteriore significato sia il dialogo di Gesù con il ricco che quello con Pietro, dove la sequela del Maestro mostra la sua funzione chiave.

A differenza del ricco, Pietro e i discepoli hanno lasciato tutto e stanno seguendo Gesù: “Ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito” (v. 28). Forse Pietro sta chiedendo a Gesù se seguendolo è nella situazione in cui Dio può realizzare il suo piano e farlo entrare nel regno dei cieli?

Nelle parole di Gesù si trovano risposte per i diversi livelli del problema, emersi nei dialoghi. Innanzitutto si passa dal livello materiale del vendere e dare il ricavato ai poveri al lasciare: un livello più profondo ed esigente. Gesù sembra indicare non semplicemente un privarsi materiale, ma l’estirpare il desiderio o il bisogno, o l’autoidentificazione con dei beni: svuotamento che si realizza solo se si pensa ad altro, lo si cerca e segue. Ecco allora la sequela come realizzazione piena del lasciare: un cercare attraverso il quale si riesce finalmente a dimenticare.

Così facendo, inoltre, si supera anche l’altro aspetto problematico legato al vendere o al lasciare: la logica dell’investimento applicata alle cose dello spirito. Anche il progetto di ereditare la vita eterna e di farsi un tesoro in cielo può nascondere il rischio dell’avarizia: il rischio di considerare la religione come fonte di guadagno. Anche rispetto a questo rischio la sequela offre una soluzione. Da una parte, a partire dal seguire Cristo prende forma un modo di vivere di grande libertà e di grande intensità e ricchezza, nel quale si sperimenta già in qualche modo un anticipo della vita eterna, liberando il cuore da ogni grettezza. Nello stesso tempo Gesù aggiunge un dono inaspettato, le “persecuzioni” (v. 30), le quali costringono a continuare a seguire Cristo e a portare avanti la sua opera solo per amore suo, in risposta al suo “lo amò” che gli costa tutto. Nel suo continuo aprire a ulteriore cammino e a inaspettati incontri, la sequela si mostra come via al compimento del rapporto dei discepoli con Cristo.

Vi è dunque una scelta da compiere: possedere ricchezze e perdere il Regno o lasciare tutto per riceverlo. Anche i discepoli sono chiamati ad abbandonare l’idea di un Messia destinato alla gloria per seguire le orme del Servo sofferente, chiamato a dare la sua vita per tutti. La ricchezza che Gesù invita ad abbandonare, dunque, non è quella esteriore, ma quella che appesantisce il cuore, che rende i discepoli di Gesù sicuri di aver compreso il mistero di Dio, di poterlo conquistare con sforzo e meriti.   

Bibliografia consultata: Tosolini, 2028; Baldacci, 2018.

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