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Rocca di Papa, monte Cavo importante centro religioso Latino e Romano

Ci avviamo lungo il percorso della via Latina – oltrepassando il parco delle Tombe di Via Latina, che attualmente fa parte del Parco Archeologico dell'Appia Antica, uno dei complessi archeologici di maggior rilievo del suburbio di Roma che ancora oggi conserva intatto l’aspetto originario dell’antica campagna romana – salendo verso il monte Tuscolo e passando vicino a due luoghi, che visiteremo, entrambi di grande importanza per la storia del Latium vetus in generale e di Roma in particolare; parliamo, infatti, dell’antica città di Tusculum e del monte Cavo, l’antico mons Albanus, luogo di importanza religiosa, politica e sociale che non era toccato dalla via Latina che, però, passava quasi alle sue pendici attraversando, invece, la città di Tusculum. Come prima tappa, quindi, ci dirigiamo verso il monte Cavo, nel territorio di Rocca di Papa, una delle più importanti sedi religiose del Lazio pre-romano e romano.

Come si arrivava sul mons Albanus? La strada che conduceva al tempio posto sulla cima, e che percorrevano i cortei trionfali, partiva nei pressi di Ariccia, attraversava all'altezza del casale del Guardianone la vecchia via volsco-latina, che congiungeva Tusculum – territorio oggi rientrante nei comuni di Monte Porzio Catone, Grottaferrata e Monte Compatri – con Velitrae, l’attuale Velletri, per poi raggiungere la base della montagna, dalla quale iniziava una strada lastricata, detta appunto via sacra o via trionfale e con una serie di zig-zag arrivava sulla vetta e giungeva al tempio; oggi la strada è ben visibile e conserva l'antica pavimentazione ancora in posto per circa 5 chilometri, restando un caso quasi unico tra le vie romane.

Il mons Albanus, ossia monte Albano o monte di Alba, fu sede di un abitato protostorico latino sviluppatosi nell'età del bronzo finale e nella prima età del ferro (XII-VIII secolo a.C.), i cui resti archeologici sono stati rinvenuti solo nel 1977. Il monte Albano essendo tra le vette più alte dell'antico Lazio (m. 950 s.m.) e la più in vista per la sua posizione isolata e dominante, fu scelta come sede privilegiata del culto di Giove, il dio protettore dei Latini; qui essi solevano radunarsi celebrando ogni anno con grande solennità le Ferie, dette appunto Latine, facendo del monte una delle più importanti mete di pellegrinaggio per i popoli dell’area, dai Latini agli Ernici ed ai Volsci, prima e durante la dominazione romana.

Chi erano questi popoli? I Latini erano un popolo di origini indoeuropee che, a partire dal II millennio a.C., occupò il territorio della costa tirrenica della regione del Latium. Sotto l’aspetto della loro organizzazione politica non erano uniti pur condividendo lingua, appunto il latino, e cultura; secondo una teoria che riguarda l’etnonimo, cioè il nome del popolo, dal greco ἔθνος,  éthnos, tribù e ὄνυμα, ónuma, nome, esso deriverebbe dal latino latus, ovvero esteso, riferendosi al territorio pianeggiante occupato rispetto all'andamento prevalentemente collinare e montuoso dell'Italia centrale e della vicina Sabina. Esiodo, poeta greco vissuto probabilmente tra la fine dell’VIII e l’inizio del VII secolo a.C., nella sua opera la Teogonia, in cui racconta la storia e la genealogia degli dei, tratta della figura di Latino, sovrano di un popolo del Tirreno, appunto i Latini, che per la prima volta sono citati come abitanti del Latium. Secondo la storiografia moderna i Latini giunsero nella penisola nel corso del II millennio a.C., provenienti forse dall'Europa centrale o, secondo la storiografia greco-romana, dall'Asia minore, anche se teorie su una loro origine autoctona non sono da escludere. L'ipotesi del Mommsen, importante storico e filologo tedesco di fine ‘800, è quella secondo cui la migrazione del gruppo latino si sarebbe estesa dal Lazio fino ai confini dell'attuale Calabria. In seguito ai successivi arrivi di Greci e Sanniti, la presenza di popolazioni latine si sarebbe contratta, fino a coincidere con il Lazio Antico; d’altra parte la presenza di genti Latine in Campania, si desume anche dal nome di alcune località Campane come Nola, città nuova, o Volturnus dal latino volvere, che attesterebbero la presenza di genti latine prima dell'arrivo dei Greci e dei Sanniti.

Riguardo al popolo degli Ernici, il cui nome proviene probabilmente dalla parola herna che in marsicano arcaico significa pietra, invece, come ci narra Strabone, era un antico popolo il cui territorio era situato nel Lazio fra il Lago del Fucino ed il fiume Sacco, confinante con tutti gli altri popoli tra i quali i Volsci, gli Equi, i Marsi, pertanto vicini alle città di Ferentinum, Anagnia, Praeneste, Tusculum, Lanuvium, Albalonga e della stessa Roma.

Quello dei Volsci, infine, era un antico popolo italico di origini indoeuropee e, come ci riporta Tito Livio, essi furono fra i più acerrimi nemici della Roma arcaica, alleati frequentemente con gli Equi, al contrario degli Ernici i quali, dal 486 a.C. in poi, furono alleati di Roma; il popolo dei Volsci era riconducibile alle genti osco-umbre come la stessa radice del nome ci lascia intuire; deriva, infatti, dalla radice vols, rinvenibile nel nome della città etrusca di VelznaΟυιλσίνιοι in greco, la romana Volsinii, corrispondente molto probabilmente all’attuale Orvieto.

Ritornando alle Feriae Latinae che venivano celebrate, cos’erano? Erano una festività latina, divenuta poi romana sulle cui origini già in epoca romana vi era incertezza tanto che in un commento a Cicerone si scriveva del dissenso della maggioranza degli autori sulle origini e mentre alcuni reputavano fossero istituite da Tarquinio Prisco altri ne attribuivano l’origine ai Latini prisci i quali erano con molta probabilità tra le più antiche popolazioni del Lazio cioè, secondo alcune fonti, gli Albani.

Uno di quegli autori è Dionigi di Alicarnasso il quale tramanda che la festa fu istituita da Tarquinio Prisco per celebrare le vittorie contro le città etrusche, – in realtà il re Tarquinio Prisco, che era per metà greco da parte di padre, fu chiamato a combattere, sempre con esito vittorioso, dapprima contro i Sabini, poi contro i Latini e le città etrusche di Chiusi, Arezzo, Volterra, Roselle (vicino Grosseto) e Vetulonia (vicino Castiglione della Pescaia) accorse in aiuto dei Latini, successivamente contro una coalizione di Etruschi e Sabini e infine contro le città etrusche di Veio (presso Isola Farnese) e Caere (Cerveteri)  – successivamente fu aggiunto un secondo giorno con la fine della monarchia a Roma e un terzo con la stipula del Foedus Cassianum tra Romani e Latini nel 493 a.C.; resta il fatto che il monte Albano e i suoi riti religiosi costituirono un punto focale di aggregazione, e che la scelta del monte rispetto ad altri possibili luoghi di culto è connessa non solo con l’importanza geografica del posto ma anche con una sorta di preminenza culturale dei popoli stanziati nei suoi pressi.

Il Foedus Cassianum era un trattato di pace che prese il nome dal console Spurio Cassio Vecellino, che lo firmò, e una delle caratteristiche insita in esso era che ogni città comandava a turno l'esercito che era comune mentre i cittadini godevano di alcuni diritti normalmente loro preclusi; essi, infatti, potevano sposarsi così come anche commerciare liberamente all'interno delle città alleate esercitando lo ius commercii, cioè la possibilità di commerciare con i Romani con la garanzia di poter ricorrere al magistrato per la tutela dei propri atti negoziali, o lo ius connubii, cioè la possibilità di contrarre matrimonio con cittadini romani. Il Foedus Cassianum, tuttavia, per quanto prevedesse la concessione e l’esercizio di quei diritti, non prevedeva invece la possibilità di acquisire la cittadinanza romana da parte dei latini, né lo ius migrandi ovvero il diritto di trasferirsi a Roma a condizioni di parità con i cittadini romani. Il patto rimase in vigore per oltre un secolo fino al 338 a.C., quando Roma sciolse la Lega Latina in seguito ad un'insurrezione nota come guerra latina (340-338 a.C.), subito dopo Roma strinse trattati con le singole città, determinando una nuova configurazione territoriale; alcuni centri dei Colli Albani furono, infatti, incorporati nella piena cittadinanza romana, mentre a Volsci, Aurunci e Campani fu data la civitas sine suffragio, la cittadinanza senza diritto di voto, e le colonie latine furono invece legate a Roma da foedera, da singoli trattati individuali.

Le Feriae Latinae generalmente si svolgevano in primavera ma erano conceptivae cioè non avevano una data fissa ma una data annuale che veniva stabilita di volta in volta ed erano, inoltre, indictivae,cioè mobili; esse erano dedicate a Iuppiter Latiaris, a Giove Laziale, cui veniva sacrificato un toro e, fino all'età di Tarquinio il Superbo, i rappresentanti delle 46 città confederate latine si recavano sul monte Albano per celebrare la festività del dio. Quando, però, nella guida della Lega Latina subentrò Roma, il compito di stabilire la data delle Feriae Latinae divenne facoltà dei consoli i quali, come ci riporta Tito Livio, erano i due magistrati che venivano eletti ogni anno e esercitavano collegialmente il potere civile e militare loro attribuito – in latino consules, infatti, significava coloro che decidono insieme benché, secondo lo stesso Livio, il termine derivasse dal dio Conso, divinità che "dispensava consigli",  come dovevano fare, appunto, i due massimi magistrati secondo quanto riferitoci anche da Plutarco – ed erano pertanto dotati di potestas e imperium, potere attribuito rispettivamente in ambito civile e militare tanto che quella del consolato era la più importante tra le magistrature della Repubblica, infatti Polibio specifica che gli altri magistrati, ad eccezione dei tribuni della plebe, obbedivano ai loro ordini. Se originariamente Giove Laziale conferiva il potere a chi veniva eletto a capo della confederazione latina, appunto il dictator latinus, successivamente i Consoli appena insediati dovevano sacrificare a Giove Laziale oltre a indire le "ferie latine" e quando ottenevano una vittoria in guerra dovevano celebrare il trionfo anche sul monte Albano. L’importanza delle Feriae Latinae era tale che anche eventuali guerre in corso venivano sospese durante la loro celebrazione, così come avveniva in occasione delle Olimpiadi nell’antica Grecia.

Ma come si svolgevano le Feriae? Il sacrificio vero e proprio era preceduto da una processione, nella quale venivano portati agnelli, formaggi, latte ed altri cibi legati alla pastorizia condotti sul monte dalle donne latine; la processione si snodava lungo un percorso di circa 8 chilometri, la cui strada è ancora oggi visibile in quanto quasi interamente conservata, e giungeva sino alla vetta del monte. Scavi archeologici, eseguiti nei primi anni del XX secolo sulla vetta del monte, hanno messo in evidenza, anche se in modo incompleto e non organico, che il tempio presso il quale venivano effettuati i sacrifici non fosse un edificio in muratura, come si era generalmente supposto, bensì soltanto un temenos, cioè un recinto sacro con una grande ara nel mezzo e altri santuari minori nei suoi pressi.

Con il termine temenos, dal greco τέμενος che non ha un equivalente latino, si indicava un appezzamento di terreno recintato che una determinata comunità dedicava ai propri culti, elevandovi un ναός, naos, tradotto dai poeti latini con templa, templi, considerato il significato che la parola temenos aveva assunto in epoca ellenistica, appunto quello di ναός. D’altro canto non bisogna dimenticare che il primo “tempio” costruito a Roma, dedicato a Giove Feretrio, era quello sorto sul Campidoglio e, secondo le più probabili ipotesi archeologiche, si trattava di un tempio che in origine doveva essere una capanna, con di fronte un'ara e intorno un recinto; d’altronde c’era una serie complessa di corrispondenze tra la montagna sacra di Roma, il Campidoglio, e quella del Lazio, il monte Albano, entrambi luoghi di culto che non erano in contrasto bensì complementari e interdipendenti.

Al termine della processione Giove veniva onorato con il sacrificio di un toro candido, le cui viscere venivano bruciate ritualmente mentre la sua carne veniva divisa tra i delegati delle città che componevano la Lega Latina, la cosiddetta visceratio; le celebrazioni terminavano, poi, nella notte quando il console procedeva alla lustratio, il rito di purificazione, dell’area sacra utilizzando latte al posto dell’usuale vino appunto per mettere in evidenza l’economia pastorale, in contrapposizione al vino, connesso con l’agricoltura, e infine con l'accensione di un grande fuoco sul Monte Albano appiccato con il fuoco delle Vestali. La sacralità delle Ferie Latine, in origine esclusiva festa federale degli antichi Latini, traspare anche dalla tradizione tramandata secondo cui fu istituita dal re Fauno o da Enea e questo richiama, anche, quanto riportato nella descrizione che fa delle ferie Dionigi di Alicarnasso il quale parla dei pelanoi, pelanoi, che nell’antica Grecia erano piccole focacce sacrificali da bruciare sull’altare.

Il nome odierno del Monte Albano è Monte Cavo, nome che, secondo alcuni, trae origine dalla piccola città latina di Cabum, della quale attualmente se ne disconosce l’esatta collocazione topografica, che sorgeva alla sue falde; secondo altri, invece, il nome proviene dalle cave che furono aperte nel pendio meridionale durante il Medioevo per ricavarne la pietra da macine e da mole; in realtà si tratta di un cono vulcanico secondo solo al monte Maschio (956 metri) ben visibile da tutte le altre cime dei Colli Albani e dalla città di Roma il cui verde che lo ricopre lo rende un luogo da visitare sia da parte degli amanti della storia antica e archeologia e sia di chi vuole trascorrere una giornata tra una vegetazione rigogliosa godendo di un bellissimo panorama.

Redazione

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